sabato 30 ottobre 2010

An indian Halloween: zuppa speziata di zucca e ceci

Prima che lo diciate voi, sappiate che concordo. Questa foto fa ribrezzo, il piatto è presentato malissimo, e nemmeno un asino inciuccato di grappa sarebbe capace di un uso sì vergognoso del flash. A mia discolpa: era una prova, e avevo fame. Trattavasi di prova perché codesta zuppa avrei dovuto farla domani al paesello delle ginestre con la mia amica Tania (assai nota a chi frequenta questo modesto blog), e allo scopo avevo ravanato la Rete onde trovare suggerimenti che rendessero appetibile anche al mio amato bene, il quale aborre la zucca, una pietanza a base di cucurbitacea.
Dopo lungo cercare, la leggendaria sezione Food del sito della BBC mi ha fornito la risposta con una magnifica ricetta indiana che unisce cucuzza butternut - ovvero quella a forma di violino dalla buccia beige, reperibile adesso alquanto comunemente e che io ho prescelto perché meno dolce - a una valanga di spezie amatissime dal mio compagno di casa e di vita. Peccato che per gustare sì bella scoperta Tania e il di lei marito dovranno attendere fino a data da destinarsi: il mio tapino amato bene, come sempre gli capita in occasione di ponti e vacanze, ha ben pensato di ammalarsi, e tanti saluti al weekend campagnolo - nonché agli gnocchi di zucca con ragù di salsiccia che Tania progettava di associare alla mia zuppotta, ma è meglio che non ci pensi troppo o soccombo alla mestizia.

Chi comunque volesse cogliere l'occasione festiva (che io personalmente non condivido granché, ma che non condanno manco giacché i bambini pare si divertano un mondo a fare dolcetto o scherzetto) per fare un piatto autunnale davvero ottimo e anche un po' inusuale per i palati italici, il che garantirà figurone in caso si abbiano a tavola quegli odiosi ospiti fintamente alternativi che di alternativo non hanno un bel nulla, potrà seguire le istruzioni poco oltre. Vi sono un po' di differenze rispetto alla ricetta originale di BBC Food perché se avessi dovuto procurarmi tutte le spezie prescritte sarei uscita di senno ben prima di mettermi ai fornelli, ma il risultato è stato comunque notevole: e sono certa che lo sarà anche se chi si cimenta non ha la fortunaccia di avere a dieci minuti a piedi il negozietto indiano, e pertanto ne userà ancora di meno. Ma bando alle ciance e procediamo con ordine.

Ingredienti:
un mezzo chilo di zucca butternut (o di qualsivoglia genere) già pulita e tagliata a tocchi grossetti
due etti di ceci già lessati (se usate quelli in scatola passateli sotto il rubinetto prima dell'uso)
una bella cipolla bianca o dorata
tre cucchiai d'olio
un peperoncino secco (se grandicello, sennò mezzo cucchiaio di quelli piccoli)
un pezzo di zenzero fresco grosso quanto un pollice
un cucchiaio raso di curcuma
idem di cumino in polvere
altrettanto di garam masala (che è un misto in polvere di spezie varie, in genere cardamomo, pepe, cumino, foglie di alloro, chiodi di garofano e altre cosucce profumate: se non la trovate, fate un misto di pepe e di chiodi di garofano sbriciolati per un totale di un cucchiaino)
200 ml di acqua bollente

Preparazione:
lo so che mi state odiando perché avete appena finito di pulire la zucca butternut e avete litigato con la buccia che era insospettatamente tosta, i semini malefici e i filamenti che vi si appiccicavano alle manine. Tranquilli, che da qui è tutta in discesa. E per iniziare la discesa fate scaldare i tre cucchiai d'olio in capace pentola antiaderente con il peperoncino secco, ovviamente a fuoco molto basso. Quando sfrigola, giù la cipolla ben tritata, e fatela imbiondire coprendo il tegame con un coperchio di vetro, così essa si sfalda delicatamente con il suo stesso vapore. Quindi aggiungete curcuma, cumino e zenzero grattugiato, mescolate bene con il cucchiaio di legno e lasciate cuocere sempre a fuoco lento per un paio di minuti.

Adesso è il momento di aggiungere la zucca che vi è costata tanta fatica pulire e insieme a lei pure l'acqua che avrete scaldato a parte in un pentolino. Rimettete il coperchio di vetro e lasciate andare la cottura, sempre a fuoco basso. Quando sentite che riuscite a infilzarla con la forchetta ma che offre ancora resistenza, indice di cottura a metà, aggiungete i ceci e il garam masala (o il trito di chiodi di garofano e pepe), date una bella mescolata, ricoprite con il coperchio di vetro e attendete facendovi amenamente i fatti vostri - la cottura a fuoco lento è bella proprio perché non costringe a sorvegliare ogni due per tre - che passi un'altra decina di minuti, quindi assaggiate per verificare che sia tutto ok e se così è spegnete il fuoco, versate in capace scodella e portate in tavola.

Voi portate in tavola. Io vado ai fornelli. A preparare un teuzzo di zenzero buono buono al mio amato bene sfortunino, così il malanno se vuole il cielo gli passa prima. Ma la ricetta di questa gagliarda tisana ve la darò in un'altra occasione.

Buon Halloween, o Ognissanti, o quel che più vi garba. Che i piccini si divertano, e i più grandi ricordino, certamente con dolcezza, che gli spiriti di coloro che ci hanno lasciato e che secondo la tradizione tornano fra noi solo una volta l'anno, per fortuna sono con noi sempre.

mercoledì 27 ottobre 2010

Jessie goes on holiday, part 3: grazie, Trenitalia!

Ma come, a Parigi e Londra non sei andata in aereo?, chiederanno i miei scafati e mondani lettori.

No, non ci sono andata in aereo.

Io ho paura di volare. Manco a dire che non abbia voli all'attivo, ma dopo una simpatica tempesta beccata su Amsterdam anni fa in cui l'aereo è rimasto un'ora e mezza a girare su Schiphol e quando tuffava il muso nelle nubi sembrava di essere sotto le bacchette di Keith Moon grazie a una gragnuola di chicchi di grandine grossi come palle da baseball, come dire, io e le vastità del cielo andiamo pochissimo d'accordo.

Per cui mi è venuta un'idea formidabile: treno dall'Urbe a Parigi, da lì il leggendario Eurostar (che ero curiosissima di prendere per via del percorso sotto la Manica), e al ritorno l'inverso. Il prezzo non era folle: grazie a una serie di vantaggiose combinazion, il costo finale era più o meno identico a quello di un volo più taxi dall'aeroporto, con il vantaggio di essere scodellati nel cuore della destinazione e senza vergognosi sovrapprezzi sul bagaglio. Cosa volere di più?

Che Trenitalia, ad esempio, venisse acquistata dalla Martian Interplanetary Railroad. Perché giusto un consiglio d'amministrazione extraterrestre potrebbe risolvere il disastro in cui versano le nostrane ferrovie - senza contare che nessun dirigente marziano avrebbe la faccia di richiedere buonuscite milionarie come certa gente, ma ciò fra parentesi.

A seguire qualche notazione che spero sia utile a chi, come la sottoscritta, piuttosto che prendere l'aereo è pronto a farsela a piedi. Il che sarebbe comunque un modo di viaggiare più comodo e dignitoso di quello offerto dalle FS.

Per chi non lo sapesse, il treno che da Roma va a Parigi è gestito a mezzi da italici e transalpini. Io di transalpini non ne ho visti, e il personale italico a bordo aveva la faccia da condannato ai remi sulle galere della Serenissima.

Dopo mezz'ora scarsa di permanenza in carrozza, anche noi avevamo la faccia di un galeotto schiavizzato dal Leone.

Visto che avevamo programmato il viaggio come una non luna di miele (era la prima vera vacanza da quando siamo appaiati, ergo abbiamo deciso di concederci qualche lusso), abbiamo ben pensato di prendere lo scomparto a due letti. A castello ovviamente, ché son finiti i tempi dei nostri nonni i quali, per citare un noto musicista catanese, "facevano l'amore con l'ausilio del motore". Dubito fortemente del resto che l'attuale scomparto medio, letti a castello o meno, possa fomentare pensieri appassionati. Spazi ristrettissimi, grucce metalliche a mo' di guardaroba che fanno delèn-delèn a ogni scossone, aspetto mesto e zozzetto di tutto l'ambiente, lenzuola bucate, cuscini in materiale sintetico di quelli che farebbero sudare pure un iceberg, odore di gomma bruciata e disinfettata con il cloro proveniente dal sistema di condizionamento, calura africana dovuta al malfunzionamento dello stesso. La pena infinita di vedere il povero capo-vagone che tentava di aprire i letti, con le leve rese rocciose da anni di incuria, non ha contribuito a migliorare l'atmosfera. Il wc in fondo al vagone il cui sciacquone si scassava ogni tre per due, men che meno.

Prima di montare sul convoglio maledetto sappiate che è opportuno fornirsi di genere alimentari. A bordo non vi è alcuna carrozza ristorante (in teoria sarebbe prevista, ma in realtà è non pervenuta), e il solerte personale vi fornirà giusto di una bottiglietta d'acqua e, al mattino, di caffè liofilizzato al gusto di bitume accompagnato da un cornetto risalente più o meno al Cretaceo. Detto solerte personale, e non ci si stupisca di ciò perché prende uno stipendio da fame, ha la tendenza a scomparire per ore. Se per caso avrete bisogno di qualcosa, preparatevi a lunghe attese. Consolatevi con il fatto che sapete l'italiano: qualunque comunicazione scritta (in genere appiccicata sulla porta della cabinetta del capo-vagone e vergata su un tovagliolino di carta) sarà fornita nella lingua di Dante, per cui i transalpini son più sfigati di voi.

Se avete coincidenze in quel di Parigi, abbiate poi l'accortezza di prenotare lasciando un intervallo di tre ore dall'arrivo. Il treno Roma-Parigi e viceversa è infatti noto per accumulare ritardi abissali. La prassi è mezz'ora, più spesso un'ora e passa. Il nostro all'andata è arrivato in ritardo di quasi due ore, costringendoci a una corsa infernale per prendere l'Eurostar. L'ultimo tratto, percorso dal convoglio a passo d'uomo, lo abbiamo passato in compagnia di un garbatissimo signore francese italofono che per vari motivi è costretto a prendere l'Artesia alquanto spesso. Ometto di riferire le sue colorite espressioni in ambo le lingue, perché non passerei il vaglio della censura.

L'Artesia arriva a Gare de Bercy, stazioncina da cui se non altro uscirete in un batter d'occhio. A qualche centinaio di metri troverete la stazione della linea 14 della metro: se dovete prendere l'Eurostar andate fino a Chatelet, e da lì con la linea 4 arriverete alla Gare du Nord. Tempo medio, poco più di mezz'ora, e in tutta comodità.

A Gare du Nord le indicazioni per l'Eurostar fanno un po' pena: sappiate che l'accesso è al piano superiore. Lì vi attende del personale severissimo che controllerà biglietti, documenti e bagagli, né più né meno che se foste in aeroporto. Consigliato arrivare almeno mezz'ora prima, sennò vi sbattono la porta sul naso. Non vi passi per la mente di fare scene di tregenda se arrivate in ritardo: cartelli appesi in bella evidenza sottolineano che a un cenno del personale sarete attorniati da simpatici signori in divisa, e dubito fortemente che sarebbe cosa gradevole.

Va da sé che rispetto ai treni italici l'Eurostar è un altro mondo. Ho viaggiato su treni migliori, ma se non altro ci si può rifocillare adeguatamente (previo leasing) e i bagni sono praticabili. Con quel che costa il biglietto vorrei vedere, direte voi. Dipende: se avete amici che viaggiano su Frecciargento e Frecciarossa (convogli notoriamente assai economici) chiedetegli dettagli e sappiatemi dire, se possibile omettendo le parolacce. Quanto alla temibile tariffa dell'Eurostar, prenotando con un anticipo di almeno un paio di settimane e scegliendo le fasce orarie meno gettonate ve la potrete cavare con una sessantina di euro.

E il tratto sotto la Manica?
Non ve ne accorgerete nemmeno. Venti minuti in cui forse vi si tapperanno un po' le orecchie, ma niente di trascendentale. Prima che ve ne rendiate conto, puf, sarete nella perfida Albione, o alternativamente nella douce France. Io mi son ritrovata a pensare "tutto qui?", e dire che soffro pure un po' di claustrofobia. Se proprio dovete temere qualcosa, state in guardia dall'aria condizionata che viene erogata con notevole gagliardìa. Se siete pelati, munitevi di cappellino. Munitevi anzi di cappellino a prescindere, se non volete arrivare in stazione con i prodromi di un fiero raffreddore.

Dopo l'esperienza con il trenino sottomarino, tornare fra le braccia delle Ferrovie dello Stato per rientrare nell'Urbe è stato come finire da un campeggio delle Alpi bavaresi a quel tale parcheggio sito dai pizzi di Roncobilaccio noto per essere frequentato da scambisti etero, gay e a corrente alternata. Oltre alla fatiscenza, alla mestizia generale e all'arrivo a destinazione con oltre un'ora di ritardo, non è stata servita la colazione adducendo quale motivo "a Parigi ci hanno rubato tutto".

Una nostra amica ha commentato che se tutto ciò venisse proposto in forma di sceneggiatura a qualsivoglia casa produttrice si andrebbe incontro alla bocciatura per inverosimiglianza.
Ma Trenitalia riesce a superare anche il più sfrenato soggettista.

E per tutto ciò, io la ringrazio.

Perché a farmi passare la paura di volare non sono bastati gli aiuti di Madonna Chimica, le sedute di training autogeno, e persino la minaccia di smollarmi da leggere quel libraccio penoso di Erica Jong.

Ma il pensiero di un'altra esperienza nel Convoglio dell'Orrore, credetemi, basta e soperchia.

lunedì 18 ottobre 2010

Jessie goes on holiday, part 2: Parigi, oh cara

"Fu allora che vidi il Pendolo".

Alzi la mano chi non ha riconosciuto questo incipit.
Se non l'ha riconosciuto, mi duole per lei o lui.
Quanto a me, il Pendolo, nello specifico quello di Foucault, è una delle cose che avrei sempre voluto vedere.

Nel corso del mio precedente soggiorno parigino ci ho dovuto rinunciare. Primo, perché volevo vedere il Louvre, e solo per la pittura mi ci son volute due visite. Secondo, perché volevo vedere il Museo del Medioevo, e pure per quello mi ci volle una giornata. Terzo, perché alla mia proposta di andare al Museo delle Arti e Mestieri il mio accompagnatore mi incenerì con un'occhiata e mi trascinò al Centre Pompidou a vedere un'istallazione di artista finita nel dimenticatoio che sembrava in tutto e per tutto la vetrina di un negozio di biancheria fetish. E a quel punto la vacanza era finita. Per inciso mi vendicai rifiutandomi di accompagnarlo in locale allora celeberrimo, e alla sua osservazione "il mio amico Lolo dice che se non vai in questo posto non sei nessuno" ribattei che a me di essere qualcuno non interessava affatto, il che concluse la citata vacanza in termini scarsamente amichevoli. Ma come osservano i transalpini, c'est la vie.

Pertanto mi sono ripromessa che in un successivo soggiorno anche io, come il protagonista di quel tale romanzo, avrei visto il Pendolo.
Per mia fortuna ci son riuscita, ed è stata una delle cose che ha fatto virare in positivo una vacanza iniziata assai male.
Ma procediamo con ordine, e non senza qualche segnalazione che spero sia utile per coloro che prossimamente vogliano visitare Parigi. Magari non troppo prossimamente, visto che al momento attuale nell'Esagono vi è un casino che a paragone lo sciopero della metro londinese in cui siamo incappati sembra un picchetto delle dame di San Vincenzo versus la curva nord dell'Olimpico il giorno del derby. Ma questo tra parentesi.

1. Primo, ovvio consiglio: fatevi la Paris Visite, disponibile nelle versioni da uno, due, tre o cinque giorni consecutivi. Vi permetterà di prendere la metro tutte le volte che volete e sarà una mano santa per visitare l'Ile de France in comodità, incluse Versailles e pure Disneyland Paris. La potete acquistare direttamente in loco, oppure online: ulteriori informazioni le trovate qui.

2. Siete già stati al Louvre?
Tornateci.
No, non me ne importa niente che la volta scorsa siete pure riusciti a vedere la Gioconda alzandovi sulle punte dei piedi per superare la torma di nipponici che facevano un muro spesso dieci metri. Ci tornate e basta, perché ogni volta vi saprà sorprendere.
Pertanto prendete il comodissimo metrò e scendete all'apposita fermata. Percorrete con pazienza i corridoi fino ad arrivare alla scala mobile che vi porterà dai pressi. E prima di imboccarla, buttate uno sguardo sulla destra: troverete una tabaccheria/cartoleria che vende biglietti per tutti i principali musei di Parigi. Il biglietto acquistatelo lì, e vi risparmierete le file chilometriche che in qualunque giorno e in qualunque orario si snodano davanti alle biglietterie, quelle automatiche incluse. E quando vi si parerà dinanzi la colata lavica di visitatori vocianti che stanno lì in impaziente attesa sarete grati del consiglio.

Se potete, scegliete come giorno della visita il mercoledì: il Louvre chiude alle dieci di sera, e avrete modo di visitarvelo con tutto comodo. Cosa che abbiamo fatto l'amato bene e io, badando di dirigerci prima nella sezione delle antichità (in tal modo si evita l'esercito che come prima cosa invade la sezione pittorica) e rimanendo basiti di fronte alle megaporte che adornavano i palazzi persiani come di fronte alla versione egizia dei quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due.
Quando poi vi dirigerete nel settore quadri &dipinti, fatemi la cortesia di evitare la Gioconda (tanto non c'è verso di vederla come si deve) e di prestare attenzione a tutto il resto: non fate come il visitatore medio che timbra il cartellino e passa oltre. Fra Van Eyck, Memling, Bosch, Antonello da Messina, Correggio, Murillo e El Greco avrete modo di rifarvi gli occhi, e visto che il truppone sta ammassato di fronte all'autoritratto leonardesco potrete ammirarli come si confà.

Se poi putacaso vi viene un certo languorino, dirigetevi al Cafè Richelieu che è nel museo stesso: per il portafogli sarà una discreta mazzata, ma a differenza dei caffè o ristoranti che sono nei musei italici, semmai vi sono, il cibo non è di plastica. L'amato bene e io ci siamo spazzolati rispettivamente una eccellente zuppa di verdura, debitamente servita con pane fresco e burro, e pollo con carote in salsa teriyaki cotto con assoluta maestria, spendendo meno di trenta euro.

3. Checché ne pensasse il mio bizzoso accompagnatore dell'epoca, il Musée des Arts et Métiers va visto, e non solo per il Pendolo. Ci son cose stupende, dal gabinetto di Lavoisier al meraviglioso Avion III di Clément Ader ai robot per l'esplorazione spaziale (e sto citando solo due o tre amenità) capaci di affascinare tutti, dai bambini agli ottantenni. Oltre alla collezione ci sono tanti bei pannelli interattivi che spiegano con gran chiarezza anche a chi di scienza non comprende un'acca perché tante invenzioni passate sono importanti e alla base di oggetti e servizi oggi d'uso comune. In più, fino al 7 novembre c'è una mostra temporanea capace di mandare in brodo di giuggiole anche il più riottoso: introdotta da una collezione - schermata dietro grate ché si sa, gli otaku sono un po' folli - di tutti i paraphernalia del settore, dal Commodore 64 fino alle console Sega d'antan, un'intera sala è dedicata alla storia del videogame.
Una parata di console, tutte originali, vi permetterà di divertirvi con tutti i videogiochi o giù di lì che hanno segnato gli ultimi tre decenni (io, che ho giocato per la prima volta a PacMan in occasione del trentennale, ho avuto per l'occasione l'emozione di darmi del tu con il leggendario Pong, con l'amato bene che mi ha stracciato dieci a zero), e mammatroni presi direttamente dalle sale giochi vi faranno tornare all'epoca in cui spendevate tutte le monetine della paghetta dandole in pasto ai succitati.

Dopo esservi consumati le manuzze con i joystick, visitate tutto il resto del museo (in alcune occasioni fanno anche dimostrazioni del magnifico teatrino degli automi: date un'occhiata al sito Internet che vi dirà in anticipo le date) e concludete il percorso come si deve nella fu chiesa di Saint Martin des Champs. Lì, come il protagonista del romanzo di Umberto Eco, vedrete il Pendolo nella collocazione voluta da Foucault, e se avete un accompagnatore paziente come il mio amato bene capirete anche perché grazie all'affascinante accrocco si può desumere che sì, la terra ruota. E se non avete un accompagnatore paziente, potrete scoprirlo qui.

4. Se poi dopo tanto camminare avete le pedagne che chiedono pietà e volete solo stendervi, è opportuno tornare in hotel. Io la scorsa volta ero stata ospite dell'amico bizzoso e ricco i cui genitori hanno vezzoso appartamento in pieno centro, e prima che mi facciate gli occhiacci sappiate che fu un soggiorno da incubo, in cui si camminava in punta di piedi per timore di ledere il parquet secentesco con le nostre orride estremità inferiori e toccava asciugare le pareti del bagno dopo ogni doccia con somma cura, perché dette pareti erano di legno: pertanto, non avendo esperienza di alberghi sono andata un po' a naso facendomi guidare da alcuni parametri. La fortuna mi è stata amica: vicino alla Bastiglia e a duecento metri scarsi dalla metro, il Color Design Hotel mi ha messo di buonumore fin dall'ingresso, e ce ne voleva per mettere di buonumore una Jessie reduce da un'intossicazione alimentare e afflitta da un fiero raffreddore.

Come dice il nome è assai variopinto e con soluzioni che, almeno rispetto alla media, sono alquanto inusuali (alcune non brillantissime, tipo il lavandino davanti all'ingresso della doccia: ma essendo questa di congrue dimensioni il fastidio non è eccessivo). Stanza silenziosa, ampia per gli standard parigini, tutta su toni di giallo e arancione - a seconda del piano e dell'ala le tinte coprono tutto lo spettro dell'arcobaleno - e provvista di letto assai comodo con cuscini e trapunta che erano così belli rigonfi da indurre a fare le fusa. Molto garbati gli addetti alla reception, dove a un gentile fanciullo è quasi venuto l'infarto quando ha constatato che ero italiana e, pur non sapendo il francese, ero in grado di esprimermi in tre lingue straniere. Il che non depone a favore della fama di cui godiamo all'estero, ma questo come sempre fra parentesi.

Negli immediati dintorni oltre alla fermata della metro non mancano caffè e ristorantini, panetterie, farmacie - che possono sempre servire, come nel mio caso per via del succitato fiero raffreddore - e un assai fornito supermarket. Il costo per una doppia è sui 180 euro ma tenere d'occhio il sito per offerte speciali (noi ne abbiamo colta una a poco meno), la colazione si paga a parte ma visto il prezzo vi consiglio di farla negli innumerevoli caffè che troverete a pochi metri.

5. Se dopo l'arrivo in hotel le pedagne proprio non danno segni di vita ma il vostro stomaco richiama con gagliardìa la vostra attenzione sul fatto che lui funge benissimo, fate un ultimo sforzo: andate all'ingresso, svoltate a sinistra e dopo dieci metri imboccate l'entrata dell'Ebauchoir, possibilmente prima delle nove altrimenti lasciate ogni speranza di trovar posto anche durante la settimana. Sembra un qualsiasi bistrot, ma si mangia splendidamente e a prezzi ragionevoli per la media parigina: io ho preso una crema di castagne con coriandolo che ha ricollegato al primo boccone le papille gustative interrotte dal raffreddore, l'amato bene un agnello con caviale di melanzane e curry a dir poco delizioso. Con plateau di formaggi e acqua la spesa non ha raggiunto i 40 euro, e la gentilissima proprietaria ci ha salutato all'uscita porgendoci la madeleine della staffa da un bel cestone in vimini formato ruota di camion.

Se invece vi trovate in centro e avete voglia di un pasto da passeggio seguite pure voi il consiglio della mia amica Paola e recatevi all'As du Fallafel, che si trova nel celebre quartiere del Marais. Dicono che vi si mangino i migliori falafel di tutta Parigi: io non posso fare paragoni al riguardo, ma posso asserire che quelli che ho ordinato battevano di una spanna tutti quelli che ho assaggiato in Italia e all'estero. Eccellente anche il kebab, servito con insalata freschissima e una pletora di salsine varie altrettanto fresche. Se poi i piedi sono particolarmente lamentosi sedetevi all'interno: solerti camerieri con la kippah d'ordinanza vi serviranno in un batter d'occhio, e in mezz'ora scarsa uscirete sazi e con la voglia di fischiettare per l'allegrezza.

Bilancio del soggiorno parigino: contenti come pasque, e con una gran voglia di tornarci. Si spera prima possibile, sempre che si riescano a prendere delle ferie degne di questo nome.

Prossima puntata, nonché ultima: le meraviglie di Trenitalia. A bientot.

sabato 16 ottobre 2010

Jessie goes on holiday, part 1: perfida Londra

Pare strano, ma anche noi di tanto in tanto si va in vacanza.

A questo giro, poi, grande evento: due capitali europee.

Sarà per quello che la Sfiga, la quale come è noto ci vede benissimo, ci ha dedicato attenzione particolare.

A seguire, qualche piccolo consiglio che potrà essere utile a chi prossimamente voglia organizzare un soggiorno in quel della capitale d'Albione. Che con noi, come da titolo, è stata perfida.

1. Forse non lo sapete, ma i lavoratori di sua maestà britannica ultimamente sono in subbuglio causa una ricca serie di tagli annunciati dal governo. Sicché al nostro arrivo ci ha accolto il primo sciopero della metropolitana dall'era Thatcher o giù di lì. Lo sciopero, che era previsto lunedì 4 ottobre ed è stato annunciato due giorni scarsi prima, è in realtà iniziato la domenica pomeriggio, pertanto abbiamo fatto appena in tempo a prendere la metro per raggiungere l'hotel. I prossimi sono previsti per il 2 e 29 novembre: se avete in programma un viaggio, regolatevi di conseguenza. E sappiate che le celeberrime fasce di garanzia in Albione sono non pervenute.

2. Voi direte: ma che importa se non funge la metro, tanto ci sono gli autobus e si sa che in un paese civile passano in orario e con frequenza.
Scordatevelo.
I bus passano sì, ma se non avete l'improbabile fortuna di prenderli al capolinea, potete metterci una croce sopra: non vi faranno salire, perché a qualunque fermata successiva al capolinea saranno già troppo pieni. Per troppo pieni intendesi autobus con tutti i posti occupati e qualche passeggero in piedi: ciò perché i famigerati bus a due piani hanno notevoli problemi di equilibrio, e se effettivamente pieni alla prima curva rischiano di cappottarsi. Una ditta italiana sta fornendo l'Inghilterra di quegli ameni autobus snodabili, che a quanto ho visto rappresentano attualmente un 2% scarso del totale.
Conseguenza è stata che sono riuscita a vedere a malapena un'ala della National Gallery, e per arrivarci ho percorso quasi quattro miglia a pedagne. E no, non è stato bello.

3. Dolore ai piedi a parte, la National Gallery è meravigliosa. E poiché appartiene al popolo britannico, è pure a ingresso gratuito. All'ingresso troverete una piccola teca dove lasciare un obolo: non tirate dritto, o vi si parerà di fronte il fantasma dell'ammiraglio Nelson che vi fissa con occhi di bragia. E dietro avrà la sottoscritta che vi minaccia con la sua padella migliore, quella con il fondo spesso. Non fate quella faccia: all'interno troverete bellezze assolute come Il ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck e Venere e Marte di Botticelli, per cui non è proprio il caso di essere tirati.

4. Se putacaso vi viene un attacco di fame e volete trattarvi bene, dirigetevi quindi alla National Portrait Gallery (che merita pure essa, ed è pure essa a ingresso gratuito) e prendete una trafila di ascensori fino all'ultimo piano. Lì c'è infatti titolato ristorante, con vetrata a giorno con vista sui tetti di tutti i principali monumenti di Londra. Il pasto, servito da camerieri civettuoli che sono lì apposta per farvi sentire delle scolopendre, vi spellerà il portafogli, ma ne vale la pena. Abbiate cura però di non mangiare nient'altro fino al giorno dopo, perché dopo i primi tre bocconi sentirete il fegato che bussa affranto per chiedere di uscire: a noi non è bastata la passeggiatella di tot miglia fino all'hotel per digerire. Sconsigliatissimo prendere il vino, primo perché - come giustamente osserva mia cugina Annuska, la quale ci ha offerto il pranzo in detto ristorante (e noi abbiamo pianto calde lacrime per il suo conto in banca) - bere del vino in Inghilterra non ha questo gran senso, e non da ultimo perché anziché una spellatura del portafogli vi attende un infarto secco al momento del conto: bevetelo a casetta vostra che fate meglio.

5. Se non volete patire mal di piedi in caso di sciopero, la migliore soluzione sono i minicab. Non i taxi intesi come black cabs (peraltro scomodissimi), bensì i minicab, che costano un terzo dei taxi e sono di gran lunga più comodi. A seconda del tragitto, purché in centro, e del traffico, che in caso di sciopero è ovviamente mostruoso, la tariffa varia in genere dalle 15 alle 30 sterline (fatevi fare un preventivo prima perché non hanno il tassametro). E vi assicuro che mai soldi saranno più ben spesi. Per prenotarli affidatevi al personale della vostra struttura ricettiva, oppure dare un'occhiata qui.

6. Quanto alle strutture ricettive, il consiglio è di prendere almeno un tre stelle perché nelle famigerate topaie londinesi si rischia di passare una notte nella poco amena compagnia delle cimici (chi ritenesse ciò una leggenda metropolitana si beccherà un infartuccio quando avrà modo di vedere certe simpatiche pubblicità che sui mezzi pubblici promuovono disinfestazioni ad hoc a prezzi interessanti). Di alberghi ovviamente ne troverete a iosa, io vi consiglio quello dove siamo stati l'amato bene e io: il London House Hotel, che si trova a un tiro di schioppo dalle fermate metro di Bayswater e Queensway e pertanto in posizione comodissima per raggiungere musei e monumenti vari (se la metro funge, ovviamente). Le stanze sono piccolette come sempre a Londra, ma assai ben curate, e i bagni hanno ottimi sanitari e doccia ampia con acqua calda a volontà. Le fanciulle alla reception sono garbatissime - abbiamo avuto problemi, ça va sans dire, solo con una receptionist francese il cui quoziente intellettivo era quello di un lombrico all'ultimo stadio dell'alcolismo - e molte di loro, dettaglio non da poco per tanti connazionali che hanno un tasso di analfabetismo linguistico tanto alto quanto malamente gestito, parlano un ottimo italiano. Dai pizzi abbondano ristorantini etnici, negozi vari e, nel caso dovesse malauguratamente servire (come è successo a noi causa febbrone dell'amato bene), una farmacia aperta tutti i giorni fino a mezzanotte. La tariffa per una doppia si aggira sulle 95 sterline colazione esclusa, il che con il cambio attuale offre un rapporto qualità/prezzo non trascurabile. In più troverete in stanza un bel bollitore con tanto di bustine di tè e zucchero, cosa santa nel caso vi siate beccati una di quelle belle piogge per cui Londinium va famosa.

7. Trovato da dormire, s'ha da trovare dove mangiare: e noi vi possiamo consigliare dove non andare. Nello specificio il Kahn's Palace, il peggior ristorante indiano in cui sia incappata durante la mia feconda e ultradecennale relazione con la cucina del subcontinente in Italia e all'estero. Chi ci ha condotto lì ha presentato il loco dicendo "l'unico problema è che sono evidentemente talebani, perché la carne è halal". Sulla talebanità non posso esprimermi, ma il cuoco senza dubbio veruno meriterebbe un lungo soggiorno nella Torre di Londra. Per della carne tandoori cucinata in modo pessimo, riso molliccio, legumi iperspeziati (quasi a voler coprire magagne degli ingredienti) e un salted lassi a dir poco terrificante abbiamo speso poco meno di 70 sterline. L'emesi notturna, omaggio.

8. Come si sa, i prezzi sono alquanto più alti che da noi, soprattutto per alcune categorie di merci: la catena di discount Tesco, presente ovunque e aperta fino a tardi (questo sì un segno di civiltà), vi eviterà di infliggere un colpo mortale alle vostre finanze. Avrete comunque modo di scoprire perché i britannici quando vengono da noi mangiano frutta e verdura peggio degli ungulati: le mele costano 35 pence, le banane una sterlina. Al pezzo.
Se poi malaugurantamente vi foste dimenticati il maledetto adattatore per le prese (cosa che non è accaduta a noi, perché l'amato bene ne ha come è ovvio uno universale per le destinazioni più varie, Australia e Giappone inclusi), niente paura: i negozi di souvenir ne hanno a iosa.

9. Sfatiamo un mito: il londinese cafone che fa finta di non capirti non esiste, o se esiste è assai ben nascosto. Questo perché c'è un tale tasso di immigrazione dai posti più diversi, la quale in genere va ad arricchire le fila degli esercizi commerciali, che chiunque o giù di lì si mostra comprensivo. Va detto che spesso il difetto, e lo dico per personale esperienza, sta nei nostri connazionali, i quali si risentono quando ad esempio chiedono in italiano se il ristorante fa il riso alla cantonese e la povera cameriera sinobritannica anziché rispondere alza con disperazione gli occhi al cielo.
Detti connazionali farebbero a mio giudizio cosa buona se prima di andare in vacanza in Inghilterra imparassero un paio di vocaboli: non è detto che ci sia sempre qualcuno del Bel Paese che, mosso a compassione dalla disperazione della cameriera, si metta lì a fare da interprete, e traduca tutto il menù. Farebbero pure bene a rendersi conto che a seconda del paese in cui approda la cucina cosiddetta etnica si adatta ai gusti del cliente: se proprio vogliono il riso alla cantonese con piselli e prosciuttino a daducci si portassero il pacchettino da casa, ed evitassero di stressare cameriere e connazionali vacanzieri. Gliene saranno grati.

10. Se siete fan di Dylan Dog, sappiate che Craven Road esiste. Prima di andare lì e batterla metro per metro sappiate pure che evidentemente non vi dimora, perché non ho visto spilungoni in camicia rossa o singolari bassotti baffuti aggirarsi dai pizzi e i rari campanelli che ho udito facevano drrriiiiinnnn e non uaaaaaaargh. La prova ultima del fatto che si è saggiamente trasferito in altri lidi la troverete a Trafalgar Square: il suo galeone, terminato in ogni dettaglio, troneggia nella boccia di vetro che vedete nella foto di apertura. La quale è l'unica e sola che abbiamo scattato.

Sintesi del soggiorno: uno sciopero, un febbrone dell'amato bene, un'intossicazione alimentare per entrambi, bellezze visitate all'attivo un pezzo di museo. Tocca tornare. E c'è il rischio di farlo con soggiorno molto prolungato: l'amato bene ha avuto un'offerta di lavoro. Non è di quelle alla Don Corleone che non si possono rifiutare. Più che altro sembra una offerta alla Disney, visto che è in ballo un bel sacco con il dollaro sopra, stile Bassotti.
L'amato bene sta valutando, e io con lui.
Ma questo fra parentesi.
Prossima puntata: rotta verso Parigi, con altri tips&tricks.
Stay tuned.
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