martedì 8 marzo 2011

Martedì Grasso: migliaccio di Carnevale

Questo dolce carnevalesco è parecchio antico: il nome deriva infatti da miliaceus, una torta a base di farina di miglio parte dello sparuto ricettario dolciario dei Romani. Ma la mia patria di adozione non c'entra nulla con la scelta di prepararlo. Men che meno c'entra il mio paese di origine: il migliaccio è sì sannita, ma del Beneventano. E' entrato però nel patrimonio familiare da qualche anno a questa parte. O farei meglio a dire rientrato, dopo un'assenza durata più o meno centotrent'anni. Tanti ce ne sono infatti voluti perché la parte di famiglia che risiede in quel borgo frentano di cui declamo le beltà ogni tre per due rientrasse in contatto con la parte originaria.

Del paese d'origine del mio trisavolo ho sentito parlare molte volte durante l'infanzia, e anche dopo. Appena diciottenne, il mio avo era partito col fratello sedicenne percorrendo in carretto la strada che dal Sannio profondo puntava verso il mare. In un baule c'erano ancora le pistole corrose dalla ruggine che si erano portati per difendersi dai malviventi. Per un certo periodo avevano conservato rapporti affettuosi con la famiglia d'origine, ma non erano più tornati indietro. E dopo la loro morte e la guerra, il legame si era interrotto. Mio nonno aveva detto più volte che sarebbe voluto andare sul posto e cercare eventuali familiari ancora vivi, ma non ci era riuscito.
Più passava il tempo, più il paese assumeva la sfumatura fantastica della Macondo di Marquez. E nessuno sembrava sapere dove fosse esattamente.

Una bella mattina d'estate mio padre smese di bere il caffè a metà tazzina e guardò mia zia Margherita.
"Per la miseria. So' iute a' Mereca, n'a Finlandia, me ce manghe sule 'a Cina e 'u Giappone. Ma ti pare possibile che non ho mai visto il paese di mio nonno? Sta pure sulla statale dove è il nostro. Mò mi organizzo."

Si organizzò con mia madre, mio cugino Antonio e lo zio Michelino, e si scoprì così che il paese c'era.
C'era pure la famiglia. Con un cognome diverso, perché l'unica a sposarsi era stata una sorella del trisnonno. Ma c'era. Telefonarono. Rispose Raffaellina. Nome di famiglia. E quando capì con chi stava parlando, per l'emozione le sparì la voce.
Non era la sola a essere emozionata.

Mi sono emozionata anche io quando sono andata al paese, qualche tempo dopo, a conoscere i parenti ritrovati. L'abitato così simile a quello del mio borgo, ma sovrastato dalla figura massiccia della montagna, che copriva tutto lo sguardo quando si usciva da quella porta che il mio trisavolo aveva varcato per non tornare. E il tremito a constatare le burle delle leggi genetiche, con Raffaellina identica nella figura a zia Margherita, ma con gli occhi e i tratti di zia Maria. E ben più di un tremito nel trovarsi di fronte gli stessi occhi celesti e gli stessi corposi, lunghissimi capelli biondi della sorella di mio nonno, morta a vent'anni prima della Grande Guerra e vista solo in fotografia, in una florida ragazzina novenne dallo sguardo serio.

A quella visita è collegato anche un ricordo gastronomico. Il migliaccio, per l'appunto. Preparato meravigliosamente dalla moglie del capofamiglia, Vittoria. La ricetta è sua, e l'ho seguita fedelmente. Il suo aveva una meravigliosa superficie bruna e compatta, e odorava di primavera. Il mio è venuto crepato come un campo riarso dalla più feroce calura estiva, ma la bontà era quasi pari a quella del capolavoro dolciario della zia. Nel caso vogliate festeggiare l'ultimo giorno di Carnevale all'insegna della tradizione sannita, ecco come approntarlo.

Ingredienti:
125 grammi di semolino
500 grammi di ricotta di mucca
tre quarti di litro di latte intero
250 grammi di zucchero
1 bustina di vaniglia
3 uova
un cucchiaio di liquore Strega

Preparazione:
in primis scaldate a fuoco lento il latte addizionato con un pizzico di sale. Prima che inizi a bollire versateci a pioggia il semolino (onde evitare i grumi io mi sono aiutata con un colino) e mescolate continuamente con la fedele cucchiara di legno per evitare che si attacchi. In capo a breve vi accorgerete che il semolino si è bevuto tutto il latte, diventanto bello cremoso e giungendo a cottura: spegnete il fuoco, mettete da parte e lasciate raffreddare.
Nel mentre che il semolino si fredda acchiappate una capace scodella (mi raccomando: capace) e mescolate con l'aiuto di uno sbattitore elettrico tenuto al minimo la ricotta, lo zucchero, il liquore Strega, la vaniglia in polvere e, una alla volta, le uova intere.
Provvedete quindi a incorporare il semolino mescolando accuratamente con lo sbattitore: il composto dovrà risultare liscio, cremoso e assolutamente privo di grumi. Se non avete il frullino elettrico armatevi di santa pazienza con la fedele cucchiara, o meglio ancora con una frusta di fil di ferro: fino a che l'ultimo grumo non si è suicidato di fronte alla vostra pervicacia, non smettete di mescolare.

Fatto ciò è arrivato il momento di darsi del tu con la cottura: preriscaldate il forno a 160°, imburrate per bene una teglia rotonda che abbia un diametro di 24 centimetri (se avete la fortuna sfacciata di avere quella da pastiera impiegatela allo scopo) e versateci l’impasto, facendo attenzione perché risulterà alquanto liquido. Quindi lasciate andare la cottura per un'oretta almeno.
Dopo la succitata oretta la superficie della torta dovrebbe avere un bel colore bruno dorato. La mia, causa forno birbante che di far colorire la superficie di qualsivoglia cosa non ne vuole sapere, era pallida come una patata in cantina. Se pure voi avete un elettrodomestico maramaldo chiudete il gas, accendete il grill e lasciate che sia lui a colorire la torta. Si creerà un'appetitosa crosticina dovuta al caramellarsi della superficie, e pazienza se non è uniforme.

Fate quindi raffreddare il dolce in santa pace a temperatura ambiente per almeno un'ora: non fatevi prendere dalla tentazione di sformarlo prima, pena lo sbragamento dello stesso.

Io ho atteso religiosamente il tempo prescritto, l'ho rovesciato su apposito piatto e prima di ribaltarlo onde presentarlo a faccia in su ho avuto modo di constatare che il fondo era ben cotto, compatto e la colorazione giallo-dorata lo faceva sembra un disco solare. Essendosi crepata sì malamente la superficie ho ben pensato di servirlo così. Ho comunque ragione di credere che delle mie considerazioni estetiche non importasse un bel nulla a nessuno: il migliaccio è stato grandemente apprezzato da amato bene, genitori, zia e, come potete vedere, anche dalla gatta Gelsomina.Cottura a parte, per la preparazione del tutto sono necessari non più di venti minuti. Se pertanto siete fra quei fortunati che riescono a tornare a casa a un'orario decente e persino a fare la spesa prima che i negozi chiudano, avrete bell'agio di fare stasera una piacevole sorpresa a chi vi è caro e festeggiare degnamente il Carnevale.
Oggi, per inciso, sarebbe anche la Festa della Donna.
Ma io non mi sento molto in vena di festeggiare.
In primis, perché le donne nell'ultimo periodo non sembrano passarsela molto bene.
E non da ultimo, perché se questa ricorrenza diventa occasione per rimpinguare le casse dei fiorai, o delle pizzerie e discoteche dove il solito manipolo di schiave del tacco a spillo va a godersi il giorno di libera uscita dal fidanzato/marito con le amiche, il tutto senza che nessuna sappia niente di quelle povere operaie arse vive, e peggio ancora senza che ne voglia sapere niente, è una festa che con le donne non ha nulla a che fare.

Però, per quello che vale, rivolgo un augurio a tutte le donne, me inclusa. Ricordatevi che siete importanti 365 giorni l'anno, e 366 nei bisestili.
Meritiamo molto di più.
E le mimose le portassero al cimitero.

6 commenti:

  1. Intanto grazie, ché ero proprio in vena di un bel post da gustare piano piano, e poi temo proprio che questo mi toccherà farlo. Non per altro, ma la teglia da pastiera ce l'ho, sarebbe un peccato non approfittarne.
    Se riesco a reperire semolino e ricotta in tempo utile, stasera mi cimento!

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  2. Ciao Muni bella, ti ringrazio tanto :)
    Sono arcisicura che il migliaccio ti verrà benissimo: magari se sei impegnata come al solito puoi chiedere a qualche anima pia di fare la spesa al posto tuo... Anima pia, mi leggi, sì? Dài che se vai a far la spesa stasera ti gusti qualcosa di davvero buono!

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  3. Hai emozionato anche me con i tuoi racconti!
    Il migliaccio non lo conoscevo, ma mi intriga parecchio: forse non lo farò stasera, ma sicuramente è in lista tra i dolci da realizzare!
    P.S. Condivido in pieno anche l'idea delle mimose nei cimiteri!!

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  4. Ciao Barbara, mille grazie! Non so mai se sproloquio troppo quando scrivo le mie ricette: spesso mi rendo conto che la descrizione di come agire ai fornelli è una porzioncella del papiro che pubblico, ma per me spesso una pietanza è legata a un particolare ricordo o momento. Scriverne qui sopra è un modo per fissare tutto nella memoria, e per impedire che i ricordi scappino via. E questa ricetta in particolare è legata a un'emozione davvero grande.
    Molti saluti a te e una grattatina dietro le orecchie a Tico Tico! :)

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  5. Jessie magari, ma l'anima pia oggi non la vedrei e poi a casa sua non c'è il forno (Te la immagini una casa senza un forno? Quasi al livello di eresia). Faccio prima a fare da me e, se proprio proprio mi sento in vena, portargliene una fettina domani.

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  6. Una casa *senza forno*?
    Mi astengo dal commentare.
    La fettuzza di migliaccio portagliela. Ma a una condizione: che si accatti sto benedetto forno. A gas, ovviamente. Sennò non vale.

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