giovedì 18 novembre 2010

Monarchi ballerini, spettatori dormienti: Le roi danse

"Ma insomma, e le ricette? Questo non dovrebbe essere un blog di cucina?"
Avete ragione. Non che mi manchi il materiale: ne ho una settantina, già fotografate, e mi dovrei pure sbrigare a buttar giù ingredienti e preparazione perché va a finire che altrimenti mi scordo tutto, e se per quelle di famiglia posso sempre bussare alla porta delle zie, per ciò che io impapocchio e per casi misteriosi mi vien pure bene posso mettermi l'anima in pace, giacché la mia memoria ha oramai più buchi di una fetta di groviera. Ma questo fra parentesi.

E' che al momento, più che alla cucina, la mia attenzione è rivolta a tutta una serie di cosucce che per motivi di tempo non ho potuto leggere, vedere o ascoltare. E converrete che starsene spaparanzati sul divano con un bel film o un bel libro e fischiettare appresso a un pezzullo, che sia di Bach o delle Boswell Sisters, è attività fra le più gradevoli. Senza contare che, avendo grazie al cielo amici e conoscenti dai molteplici interessi, gli spunti che mi arrivano sono parecchi, e una prima o poi dovrà pure mettersi in pari.

Uno degli ultimi suggerimenti è capitato come si suol dire a pera: Le roi danse, biopic riguardante un compositore barocco firmato da Gérard Corbiau. Di questo regista, tutt'altro che celebre da noi ma alquanto noto in Francia, io avevo visto solo il terrificante Farinelli voce regina, un polpettone di bruttezza rara che tramutava il povero Carlo Broschi in una sorta di rockstar fallita e inanellava errori a ogni fotogramma o giù di lì. Ma giacché a raccomandarmelo è stata persona che di musica se ne intende e ne lodava diversi elementi, ho deciso di dare a Monsieur Corbiau un'altra chance, e con l'aiuto del solito Lello mi sono procurata il film in questione.
A suscitare la mia curiosità era anche il fatto che i biopic dedicati ai musicisti, che siano classici o rock, sono in genere fetecchie tremende: se Cronaca di Anna Magdalena Bach, Tutte le mattine del mondo o Sid & Nancy sono splendidi (consiglio caldamente tutti e tre: soprattutto il primo farete una fatica boia a trovarlo, ma se amate il Kantor di Eisenach - interpretato magnificamente da Gustav Leonhardt - andrete un brodo di giuggiole), basta pensare a obbrobri come Amata immortale, Walk the line o l'abominevole fiction sulle Lescano per convincersi che le sette note e la settima arte in taluni casi dovrebbero tenersi a rispettosa distanza. Corbiau con Farinelli aveva miseramente fallito: come se la sarebbe cavata con Jean-Baptiste Lully, astro musicale alla corte del re Sole?

Male.

Il che irrita sommamente perché l'idea alla base è geniale, e mette sotto i riflettori un aspetto del regno di Luigi XIV che è poco esaminato: ovvero, l'impiego della musica e delle diverse forme di spettacolo, danza in primis, come mezzo per instillare nella coscienza collettiva, della corte ma non solo, che il re è il re.

Voi mi direte: e che bella scoperta, è ovvio che il re è il re.

Mica tanto ovvio. Soprattutto se si arriva sul trono dopo che, in amena successione, vi sono ascesi prima una pletora di mezzecalzette afflitte da una madre intrigante, poi un monarca dal credo religioso ondivago che si è fatto seccare dallo zelota di turno, a seguire una marionetta i cui fili erano tirati da temibile eminenza rossa. E ancor più se si ha sul groppone la combinata madre intrigante più eminenza rossa - non gli stessi di prima: mamme impiccione ed eminenze dei più vari colori sembrano essere una costante nella storia francese e non.
Luigi intuisce che la soluzione per ascendere al vero potere è rendere il monarca un dio (ovvero il sole, nel caso specifico), e per farlo tutti gli strumenti sono buoni. Anche quelli musicali, giacché la musica è necessaria per danzare, e il futuro re Sole è un ballerino straordinario: sicché quella che viene considerata dagli arcigni cortigiani un'attività da debosciato diventa un'affilatissima arma.
Tutto ciò viene trasposto cinematograficamente in modo a dir poco sublime: splendidamente eseguite dall'orchestra Musica Antiqua Köln, le musiche di Lully sono il tappeto sonoro su cui si ricamano le complesse coreografie che vedono Luigi protagonista assoluto. Costumi, scenografie e danzatori sono da visibilio, e un lavoro di montaggio fatto al cesello rende il Borbone (grazie a un paio di body double che chiamano i baci dall'alluce all'anca) un perfetto e inarrivabile misto di eleganza, potenza e autorità, l'esatto messaggio che il monarca intende trasmettere. Che si sia appassionati o meno di danza barocca, l'insieme lascia a bocca aperta. E chi, come la sottoscritta, non abbia mai colto l'erotismo che una sequenza di passi sa sprigionare, si accorgerà di fissare scarpe di marocchino che inguainano perfettamente abilissimi piedi manco fosse un feticista.

Le sequenze di ballo sono il culmine del film, ed è un gran piacere guardarle. Non sono la sola a pensarlo: su Youtube c'è un apposito filmato che le raccoglie. Assommano a poco più di sette minuti. Sette minuti di meraviglia.

Il problema è la restante ora e quaranta. Che si può riassumere con due parole: noia pura.
Perché la confezione è meravigliosa, ma abitata da marionette.

Ancora ben lontano dal doppio mento e dalla gotta che lo affliggeranno in vecchiaia, il Luigi cinematografico è bello come il sole - assai più del suo reale corrispettivo, che nonostante le piaggerie cortigiane era un nanerottolo col naso a gancio: del resto, la consorte viene tramutata da matrona con il vizio della cioccolata in tazza in una secchetta che non sfigurerebbe nella scuderia di Cavalli se solo scoprisse un po' di ossame - e ha lo spessore di un tronista. Danza con fare algido, mette il broncio quando un passo gli vien male, litiga con mammina e i suoi scherani e si aggira con un'aria alla "mi dispiace, ma io so' io" assolutamente ingiustificata, perché va bene che qui grande protagonista è il ballo e non è che uno si possa aspettare la ricchezza di sfumature di quella meravigliosa fiction di Rossellini, ma le qualità - anche pessime - che resero il giovinotto uno dei monarchi più tenuti della sua era non si vedono molto. Se però non mostra le doti di consumato statista del futuro re Sole, in compenso il film ci regala una scena in cui sua maestà gioca a fare il sollevamento pesi usando l'amante di turno a mo' di bilanciere. Vuoi mettere.
Va detto che è inutile mostrare doti di consumato statista se si hanno quali avversari nell'ascesa al potere una madre che ha l'espressività perennemente torva di un mastino napoletano e una serie di comprimari abbigliati da becchini che paiono usciti dai fumetti del Corriere dei Piccoli. Anche personaggi fondamentali della temperie culturale dell'epoca fanno una figura ben misera: su tutti Molière, interpretato da uno Tcheky Karyo alquanto spaesato e avvilito da una parrucca in stile Rod Stewart primo periodo. Se non altro la scena della sua morte, che avviene sul palco mentre è attorniato da scheletri che ballano una inquietante e bellissima danse macabre, è uno dei momenti migliori.

E Lully, protagonista del film che si apre e chiude, assai banalmente, con la sua dipartita?

Non è la rockstar sull'orlo di una crisi di nervi in cui Corbiau aveva mutato Carlo Broschi, ma ci manca poco: se gli zompi da un letto all'altro cui Lully indulge sono pienamente giustificati dalle cronache, i tantrum da diva isterica che butta all'aria mezza casa e irrompe sulla scena correndo sui tacchetti un po' meno. E il fatto che il compositore fosse noto per andare indifferentemente con partner ambosessi non spiega perché nel film egli abbia una cotta belluina per il re. Gli regala morbide scarpe di marocchino rosso, corre al di lui capezzale ignorando la moglie che sta partorendo, lo fissa con occhi febbrili anche se si sta parlando del tempo. Il che ci potrebbe anche stare: vi sono cortigiani che han fatto di peggio. Però se si evitassero scene come quella in cui il monarca gioca a fare il culturista con la bonazza e Lully, impegnato all'esterno della tenda regale a fornire adeguato sottofondo orchestrale, lo sbircia da un pertugio per poi fuggire precipitosamente in preda a una crisi di gelosia, saremmo tutti più felici. Cose come queste sono pessime in qualunque film, e in un film biografico oltre che pessime sono esecrabili.
Tutto ciò ha l'effetto di non coinvolgere minimamente chi guarda. Visivamente Le roi danse è splendido, ma appassionarsi alle vicende di personaggi che sono poco più che macchiette risulta difficile. Lully e il suo monarca per quasi due ore incedono con o senza sottofondo musicale, strepitano come scolari, si abbandonano a paurosi sbandamenti emotivi (di cui l'unico riuscito è quello in cui Luigi viene trascinato via dalla stanza di mammà agonizzante con i cortigiani che gli coprono gli occhi, giacché un re non deve avere contatto nemmeno visivo con la morte), ma il coinvolgimento dello spettatore resta pari allo zero.

E un coinvolgimento pari allo zero per un'ora e tre quarti meno sette minuti dà la misura del fallimento di un film che in potenza poteva essere magnifico, ma in atto è la solita, sconfortante, presuntuosa riprova che la pessima reputazione di cui gode il cinema europeo è pienamente meritata.

mercoledì 3 novembre 2010

Torta al limone di zia Lella

La zia Lella, come chi frequenta codesto blog ben sa, è una cuoca sopraffina. Come tutte le cuoche sopraffine ovviamente minimizza il suo operato con infinite declinazioni sul tema "ma è una sciocchezza che sanno fare tutti", le quali ovviamente non ingannano chi si dà del tu da assai meno tempo con i fornelli, e sta pian piano imparando a sue spese quanto quelle sciocchezze che sanno fare tutti vengano in maniera decente solo dopo non pochi e pazienti tentativi.

L'esempio primigenio della sciocchezzuola alla portata di tutti è la torta al limone. Quella di zia riesce alta come un cuscino sprimacciato, leggera, profumata, deliziosa, e si stacca dal suo quasi centenario stampo con buco al centro senza opporre resistenza e senza perdere nemmanco una briciola del suo involucro dorato. Quella di chiunque altro che si cimenti, giacché la zia a differenza della cuoca media è assai generosa e divulga le sue ricette molto volentieri, ha in genere l'altezza di un celebre economista degno del Nobel, la consistenza di una palla da tennis e l'aspetto di un campo dove si sia tenuto un congresso di talpe.

In molti mi hanno chiesto qual è il segreto della zia. E io rispondo che nulla può battere una lunga pratica (cosa che ormai si va perdendo, perché è assai più comodo comprare il dolce o la merendina al supermarket) e una preparazione che sia fatta con amore sia per la cucina sia per coloro che mangeranno il risultato dello spignattamento.

Codesta risposta viene considerata poco scientifica. Io la considero empirica in quanto basata sull'osservazione diretta, ma mi rendo conto che è questione di opinioni.

Come che sia la torta al limone di zia Lella, oltre a essere deliziosa e ottima sia come merenda che come dessert (in quest'ultimo caso basterà accompagnarla con una bella ciotola di crema pasticcera), è pure un ottimo banco di prova per testare l'accuratezza del proprio lavoro ai fornelli, elemento dal quale la riuscita di un piatto dipende più che spesso. Se ci si mette poi che è molto divertente e veloce da realizzare anche con i bambini, direi che gli incentivi per mettersi all'opera non mancano davvero.

Ingredienti:
350 grammi di farina
250 grammi di zucchero
tre uova
una tazzina da caffè di olio
la buccia grattugiata di un limone
una bustina di lievito
due o tre cucchiai di latte tiepido

Preparazione:
in primis accendete il forno a 180° in modo che si scaldi come si confà (col freschino di questi giorni un po' di tepore in cucina sarà cosa ben gradita) e provvedete a imburrare e infarinare uno stampo con il buco: nulla vieta di usare una normale teglia, ma per me la torta al limone è con il buco al centro e grande stile ruota di bici, per cui vi suggerisco quello.

Rompete le uova, separate i tuorli dagli albumi e tenete questi ultimi da parte, magari in una bella ciotola in frigo. Battete i rossi con lo zucchero fino a quando l'aspetto sarà chiaro e spumoso con notevole aumento di volume (allo scopo potrete usare uno sbattitore elettrico oppure, se siete di malumore, la solita cucchiara di legno: al termine dell'operazione sorriderete come bodhisattva). Quindi incorporate la buccia di limone, l'olio a poco a poco, la farina aggiungendola pian piano a cucchiaiate e il lievito sciolto nel latte, sempre mescolando con attenzione e con somma pazienza. Il risultato sarà un bell'impasto morbido e filante: diventerà ancora più morbido quando vi aggiungerete gli albumi montati a neve.

Per montare i bianchi (usate stavolta la tecnica moderna, o a fine operazione con la classica frusta avrete la serenità d'animo di un appassionato di blues che si trovi a un concerto di Gigi d'Alessio) la zia impiega il vecchio trucco del pizzichino di sale; i miei amici ingegneri suggeriscono quello del goccino di limone che, secondo la scienza, dà risultati di gran lunga migliori. Voi scegliete quello che più vi aggrada, e quando vedrete gli albumi della giusta consistenza - evitate la famosa prova della ciotola a testa in giù: diverte tantissimo i bambini, ma fin troppa neve di uova ho visto planare per terra - incorporateli a cucchiaiate nell'impasto con movimento dal basso verso l'alto.

Fatto ciò, versate il composto nello stampo (la zia si raccomando di evitare schizzi sulle pareti dello stesso, che cuocendo assai prima del dolce si carbonizzano con pessimi effetti) e mettete in forno sul piano intermedio.

Se avete fatte le cose come si confà, vedrete il dolce che cresce giulivo e dopo un'oretta circa diventa bello dorato in superficie (se non vi fidate del vostro naso che vi dice che è cotto, fate pure la prova stecchino). A quel punto tiratelo fuori dal forno, fate raffreddare per qualche minuto, acchiappate lo stampo con un bel canovaccio spesso, scuotetelo delicatamente dal basso verso l'alto per vedere se il dolce si stacca, e se è così rovesciatelo su un piatto (facendovi i complimenti se l'avete sformato alla zia Lella, ovvero del tutto integro) e ri-rovesciatelo su una gratella dove lo lascerete finché non si fredda del tutto, in modo che si liberi dell'umidità in eccesso.

Se non avete fatto le cose come si confà, pazienza. La torta sarà assai meno bella nonché più tosta da digerire, ma è buona lo stesso.
Ripromettetevi però di rifarla, stavolta con attenzione.

Primo, perché mica vorrete avere l'equivalente dolcizio di quel celebre economista da Nobel che vi guata dal piatto mentre fate colazione, quasi a spronarvi a correre al lavoro pena cose di tregenda.

Secondo, perché a furia di fare le cose con attenzione, dopo un tot di volte vi accorgerete che potete in contemporanea cucinare, badare al gatto, fare una coccola ai bambini, ascoltare la radio, rispondere a una mail e tenere con la cucchiarella il tempo della musica che state ascoltando senza perdere un colpo.

Scoprirete così perché, anche ora che hanno ottant'anni suonati, le vostre zie e nonne a multitasking vi stracciano, e se la cavano di gran lunga meglio di voi.
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