mercoledì 12 ottobre 2011

Cotognata in barattolo e in forma

Dopo sì lunga assenza da queste blog colpevolmente negletto, mi pare cosa giusta fare una rentrée con una delle ricette più apprezzate del patrimonio familiare.

La cotognata a casa mia si fa infatti da sempre: in versione marmellata da mettere sul pane o in mezzo alle ostie o per farcire una crostata di pastafrolla, o più spesso in forma, impiegando allo scopo delle formine di latta che mi ricordo fin dalla più tenera età non solo io, ma pure le zie.

La mia prediletta è sempre stata quella che rappresenta una bella triglia, cosa che la zia Lella sa bene. Quando nell'ormai lontano anno 1994 mi trovai a passare un gelido inverno in Olanda, nella casa dove soggiornavo arrivò un bel pacco di generi vari e, davanti ai miei perplessi coinquilini batavi, dovetti spiegare la commozione che mi avevo preso a leggere su un contenitore di plastica "Cotognata (a lato c'è il pesciolino)". E per quanto possa sembrare strana ai più l'idea che la cotognata possa essere un comfort food, a me basta un morso per sentirmi di nuovo nella cucina del paese davanti alla stufa che scoppietta, mi trovassi pure a Katmandu o persino in quel dell'Olanda afflitta - la sottoscritta, non la Batavia - dall'inverno più freddo dal Dopoguerra, dalla tipica simpatia dello Jan Kaas medio e dall'irrisione dello Jan Kaas medio e non nei confronti della classe politica italiana e di un suo certo rappresentante in particolare. Ma sto divagando come di consueto.

Le ricette di cotognata più un voga suggeriscono una vagonata di zucchero e l'impiego del setaccio fine. Quella di famiglia è più spiccia e meno dolce, ma proprio per questo vi permetterà di assaporare le cotogne come si confà.
Un solo consiglio: provvedete ad avere con voi un maschio dalle mani grandi e toste, ché ne avrete bisogno, soprattutto quest'anno e alle latitudini della Capitale. Se poi disponete di una quantità notevole di frutta e la vostra cucina è da puffi come la mia, chiedete a qualche persona di buon cuore se vi può ospitare nella sua: io ho chiesto asilo alla zia Lella, altrimenti mi sarei trovata sommersa dagli scarti.

Ingredienti:
cotogne, mele o pere che siano, a volontà
zucchero, 250 grammi per ogni chilo di polpa di frutta
il succo di un limone ogni due chili di polpa di frutta

Strumenti:
un vecchio paiolo
un passaverdure
una pentola dal fondo spesso
formine di coccio o metallo per alimenti

Preparazione:
armatevi di pazienza. Tanta, tanta pazienza. E fate pace con la consapevolezza che a fine lavoro le vostre mani si lamenteranno come prefiche. Ciò perché le cotogne sono di polpa legnosa e toste da non dirsi, e dovrete usare il coltello a mo' di mannaia. Impiegate il maschio dalle mani robuste allo scopo, e voi dedicatevi allo sbucciamento e detorsolatura. Anche questa operazione vi costerà un bel po' di fatica, soprattutto come già detto quest'anno e in zona Capitale: ciò perché causa clima bizzarro le cotogne stan cadendo tutte dagli alberi senza giungere a piena maturazione e i più diversi generi di parassiti per via del suddetto clima hanno avuto bell'agio di andare all'attacco. Fate un bel respiro e andate all'attacco voi: quando si fa la cotognata resta comunque sul campo una quantità di scarto impressionante anche nelle annate migliori, per cui la differenza sarà minima.

Mettete quindi i pezzetti di cotogne pulite in un paiolo, aggiungete un mezzo bicchiere d'acqua, coprite e fate cuocere a fuoco lento finché non si ammorbidiscono. Nel caso si trattasse di mele e pere, sappiate che non c'è differenza reale fra le due se non per il tipo di innesto: a voi la scelta se cuocerle tutte assieme o separatamente, tenendo conto che secondo alcune scuole di pensiero la cotognata di pere ha un sapore e un colore più delicati, e secondo altre son sciocchezze buone solo per coloro che spacciano le pere cotogne a prezzo superiore.

Una volta che sono belle morbide toglietele dal fuoco, fatele intiepidire e quindi passatale fino a ridurle in crema. La old school dice che è necessario il setaccio di crine della nonna, secondo me se usate il passaverdure ci mettete meno tempo, vi stressate di meno e vi verranno benissimo lo stesso. E' in questo momento che avrete bell'agio di apprezzare i risultati della fatica fatta al momento della pulitura: essendo già al netto dello scarto, la polpa vi darà un'idea alquanto precisa della quantità di marmellata che potrete ricavare. In sostanza, what you see is what you get.

Pesata la polpa calcolate quindi la giusta quantità di zucchero, e una parte dello stesso (circa un terzo) mettetelo nella pentola dal fondo spesso insieme a un mezzo bicchiere d'acqua. Ponete quindi il tegame sul fuoco basso e aspettate che lo zucchero si sciolga nell'acqua: il risultato deve essere uno sciroppo piuttosto liquido.

Fatto ciò, aggiungete nella pentola la polpa di cotogne e il restante zucchero e fate amalgamare il tutto ben bene mescolando con il fedele cucchiaio di legno. Rimettete quindi su fuoco basso, aggiungete il succo di limone e rassegnatevi all'idea di rimestare di frequente il composto finché lo stesso non si appiccica con gagliardìa alla cucchiarella.
Versate quindi la marmellata nel necessario numero di barattoli, provvedendo a capovolgerli una volta chiusi perché il calore provvederà a una spiccia sterilizzazione.

La fatica termina qui se avete optato per la sola marmellata, continua invece se avete deciso di fare anche o solo le formine. Qui la faccenda si fa più complicata, perché intuire quando il composto è pronto all'uso non è immediato e ci può volere lungo tempo di cottura: sappiate comunque che un buon indicatore è quando la marmellata si stacca senza difficoltà da pareti mentre state mescolando - perché, come non mai, qui vi tocca andar di cucchiara pena orribili sentori di bruciaticcio che sciuperebbero il tutto.

Preparate tante formine quante sono necessarie (se avete quelle magnifiche di coccio che si usano in Sicilia - ricordo ancora quando le vidi a casa della mia amica Paola, con il suo papà che me ne spiegò l'impiego mentre io, che le avevo scambiate per posacenere, diventavo alta come un puffo - adoperate quelle, sennò van bene quelle di metallo), oliatele accuratamente, metteteci con l'aiuto di un cucchiaio la giusta quantità di cotognata facendo attenzione a non scottarvi e livellate la superficie con il cucchiaio stesso dopo averlo bagnato. Qui sotto vedete la parata di formine da me relizzate. E no, non c'è il pesciolino, gelosamente conservato nella dispensa del paese dove è giusto che sia.
Dopo ventiquattr'ore controllate se la cotognata si è rassodata come si confà: se così non fosse, con santa pazienza rimettete il tutto in pentola e fate cuocere almeno per mezz'ora, quindi ripetete la procedura. E non fate quella faccia, ché dopo ciò il risultato è sicuro.

La cotognata in barattolo sarà eccellente sola o come ripieno per dolci, quella in forma si presterà a diverse combinazioni, fra cui quella, di gran moda da qualche tempo (il che spiega perché le cotogne e derivati siano giunti a prezzi vertiginosi), di accompagnarla a fettine di formaggio piccante e ben stagionato.
Potrete pertanto a seconda dei casi rendere lieta una comitiva di nipotini golosi di torte, fare una bella merenda tradizionale con i vostri cari, stupire a cena il commensale che si dà arie da raffinato con un antipasto assai più fine di lui, e così via.

In frigo all'interno di appositi contenitori e separate da carta da forno, le formine si conserveranno agevolmente per più mesi.
A ridosso delle feste di Natale potete quindi, nel caso che ne aveste ancora, acconciare un regalino tipico adagiandone un tot su un piatto o vassoio di terracotta da avvolgere con carta trasparente ben infiocchettata.
I buongustai gradiranno molto, voi ci farete in figurone, e converrete che sì, fare la cotognata sarà pure una fatica belva, ma ne vale davvero la pena.

8 commenti:

  1. ciao (: ma che belle le tue ricette.. Mia mamma ne sta sfornando proprio in questi giorni, barattoli su barattoli di cotognata (che vengono però dal nostro albero in giardino).. Mi iscrivo! A presto..

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  2. Ti ringrazio :) E la tua mamma come la fa la cotognata? Se ci sono differenze con la mia ricetta di famiglia segnalamelo, così alla prossima occasione (oramai nel 2012, temo) provvedo a sperimentare!
    Per inciso mi sono iscritta al tuo bel blog e già ti son grata, perché ho appena scoperto come fare un preparato da brodo adatto agli ipertesi, e perché ho trovato una bella soluzione per svoltare la cena di stasera :)

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  3. Ciao, molto interessante la tua cotognata...ti ringrazio di tutte le indicazioni!!!
    Ti seguo e se ti fa piacere passa a trovarmi.
    A presto, disponibilità di tempo permettendo!!!

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  4. Ciao Jessie, approdo dietro suggerimento al tuo blog e con piacere trovo una ricetta simile alla mia e una regione d'origine...mi unisco ai tuoi sostenitori e piacere di conoscerti...sono un'emigrante anche io!!!
    ciao loredana

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  5. Ciao Jessie, passo da te dietro consiglio di una persona a e cara, credevo di averti lasciato già un commento, ma forse mi sbagliavo...comunque , anche io sono molisana, anche io emigrata, in Abruzzo, mi piace qui da te, mi aggiungerei volentieri ai sostenitori, ma non mi compaiono, comunque ho memorizzato il tuo blog e , non appena torni, passerò a trovarti di nuovo.
    ciao loredana

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  6. Perdonami Loredana, mi vergogno come una ladra... Non ho più il tempo di aggiornare il blog, controllo i commenti ogni morte di papa, e ho visto solo oggi che mi avevi scritto. Ti chiedo scusa dal profondo del cuore. E con l'occasione ti faccio i complimenti per il tuo bel blog: visto che non mi riesce più di aggiornare il mio, mi darà quantomeno occasione di prendere ispirazione per quel che combino in cucina, con gioia del mio amato bene che oramai si vede propinare sempre le solite quattro cose!

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  7. Ma allora Jessie Ricetta il tuo e' un vizio! Come e' possibile che dopo la polenta tu mi metta la cotognata? O hai sangue friulano nelle vene o io e te siamo gemelle separate alla nascita. Per restare in tema di dessert ti scrivo che cosa ho offerto ai miei Louisianians dopo la polenta coi funghi: Blue berries and red berries cobbler over vanilla wafers che tradotto in paesano schietto: salsa di mirtilli blu e rossi (ubriacati di brandy) con pecan e pavesini sminuzzatti. UNA GODURIA. ho visto che sei brava a fare le ricette per le ciompe come me allora ti do ingredienti e foto cosi' poi te la carichi tu nel sito che vedo che il tuo blog e' un po ancorato..ha bisogno di una spinatrella si vede che si era ingolfato il motore
    INGREDIENTI:
    una scodella da te di mirtilli blu
    una scodella da te di mirtilli rossi
    una scodella da te di pecan (noci va bene lo stesso,)pestate
    una tazza da caffe' abbondante di zucchero possibilmente di canna non raffinato (bianco va bene lo stesso)
    una tazza MOLTO abbondante da caffe' di brandy
    una tazza da te di acqua (se non avete problemi di digestione anche un cento grammi di burro(ma si fa anche senza)
    ESECUZIONE:
    mettere tutti gli ingredienti in una padella su fuoco medio e far bollire riducendo il tutto ad un budino
    su scodelle da te mettere sul fondo pavesini sbriciolati (andrebbero molto meglio i macaroons che adesso non ricordo come si chiamano in italiano) poi versare sopra il budino e guarnire con un pavesino messo in piedi (si puo' sostituire anche i biscotti con savoiardi ma restiamo piu' light con i pavesini che cosi' diamo un po di revenews alla Pellegrini(visto che di medaglie non ne ha vinte si deve accontentare delle royalties della pubblicita'
    Mettere un po in frigo o servire tiepido a piacere con una pallina di gelato alla vaniglia, se vi sentite ricchi, un po di panna montata e voila' siete anche voi al mardi gras di New Orleans (colori necessari : viola, giallo e verde) ma e' un dessert year round
    baci da Amite, Louisiana

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  8. Mi hai tentato come non immagini con questa ricetta... Sappi che in una pausa dal lavoro matto e disperatissimo sono uscita a fare la spesa e ho comperato i mirtilli surgelati (quelli freschi costavano più dei tartufi e qui tocca essere assai oculati, con codesti chiari di luna).
    Spero domani di fare una non-sorpresa al mio amato bene (dico non-sorpresa perché io non compero mai i mirtilli e lui, che mi accompagna sempre quando faccio la spesa grande del weekend, credo abbia dedotto che ci sarà qualche mangereccia novità), sempre che il lavoro me lo permetta...
    Con due differenze rispetto alla ricetta originale, però: niente brandy perché lui e io siamo due teetotaler - non per motivi etici o religiosi, semplicemente con un dito di birra ci inciucchiamo come ranocchie pertanto l'alcool è meglio evitarlo - e anziché i pavesini userò i savoiardi sardi, in primis perché sono molto più buoni, in secundis perché la Pellegrini la trovo simpatica come la pertosse :P
    Non appena cimentatami ti farò sapere! Peace & Love da un'Urbe soffocante e puzzolissima

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