mercoledì 27 febbraio 2013

Zia Maria



"Ridere... sempre così giocondo/Ridere... delle follie del mondo/Vivere... finché c'è gioventù..."

Mia zia amava la musica, e questa canzone in particolare le piaceva. Ce la cantavamo al telefono, quando mi chiamava la sera. Finiva col chiamarmi sempre lei, perché io trovavo sempre occupato per le mezz'ore di fila ("Zì, ma chi è sto logorroico? Hai voglia a chiamare!" "Uh, figlia mia, sapesse...M'ha fatt' 'na coccia, e tutù e tutù!"). Parlavamo di mille cose, e cantavamo. Sono canzoni di quand'ero giovane, però so' belle, no?, mi diceva. Sì zia, sono belle. E tu sei rimasta sempre giovane. Con la voce squillante, il sorriso, la figura snella e il tuo caschetto di capelli d'argento. Una flapper di ottant'anni.

Sempre stata una donna attiva, zia Maria. Infatti era difficile che si fermasse a parlare. Però in certi casi si sedeva sulla poltrona vicino alla stufa, e quello era il segnale che c'erano due minuti di pausa. «Facémece 'na fumatella», e uno si sedeva accanto a lei, accendeva la sigaretta e chiedeva. Zì, ma quando eri piccola come eri?

«Ero 'n' 'ndrecchiésse! Stavo sempre a curiosare e a chiedere. Avevo una sciarpa rossa a pallini neri, e jeve apprèss a tutti i funerali. E poi mi impicciavo, parlavo con questo e quello. Mia madre mi diceva sempre: sei una maleducata!»

Non eri una maleducata zì, è che hai sempre detto quello che volevi e ti comportavi come credevi. Avevi un bel caratterino. Quando mio padre andò con il suo a Campobasso e tornando disse tutto contento che aveva visto "'u mare peccerille", la grande fontana della piazza principale, la tua reazione non fu delicata. «L'haje azzeccàte nu shcàffe, a chille povere figlie», raccontavi mezza contrita e mezza ridendo. Va da sé che adoravi mio padre. «Quando è nato era tanto bello, ciabbottello ciabbottello, e aveva già un dentino...». E poi raccontavi che insieme facevate qualche marachella, e il nonno si arrabbiava e vi faceva stare nell'angolo con le braccia alzate e appoggiate al muro.

Zia Maria era bella. Non lo dico perché era mia zia. Era bella veramente. Aveva ripreso l'altezza di mia nonna, a differenza degli altri fratelli che erano rimasti tutti piuttosto piccoli. Aveva i capelli scuri, gli occhi nocciola, gli zigomi alti, il naso dritto. C'è una foto dei primi anni Sessanta scattata vicino al negozio dove è con altre persone: una ragazza che va verso i quarant'anni colta mentre sta attraversando, modernissima con le sue lunghe gambe e i capelli che le arrivano alle spalle. Potrebbe somigliare a Jane Birkin, solo che a confronto Jane Birkin è provinciale. Mia zia era di un paesino, ma non sarebbe mai stata provinciale. Lo stile è sempre stato tutto suo.
Colpiva le persone, che la ricordavano anche dopo averla vista un'unica volta, anche a distanza di anni. Mio zio Pigi racconta di una sosta al paese, di ritorno da un viaggio a Taranto. Zia preparò un pranzo memorabile, e altrettanto lo fu la conversazione durante il pasto. "Una donna arguta e intelligente, piena di spirito, sempre con la battuta pronta". La bellezza è niente senza la personalità, e mia zia aveva entrambe.

E' rimasta bella fino all'ultimo. E fino all'ultimo pareva non aver pace, aveva sempre qualcosa da fare. Girava come una trottola per tutta la casa, su e giù per le scale. Da piccola faticavo a tenerle dietro. Ogni tanto però si fermava, e mi dedicava attenzione. Non era l'attenzione morbida e piena di calore di zia Margherita: aveva sempre qualcosa di deciso e vivace.
Uno dei ricordi più belli è legato all'anno che passai interamente al paese frequentando la seconda elementare. In inverno mi venne la varicella, e zia Maria mi riportò da una vista a Campobasso Le novelle di una nonna di George Sand. La febbre mi stancava, e lei prese il libro in mano e mi sedette accanto. Ricordo la sua voce nitida, da donna assai più giovane dell'età che aveva, mentre leggeva La quercia parlante: «Voi vi starete chiedendo dov'era Emilio. Un po' di pazienza e ve lo dirò...»

Ricordo le sue fiabe, che aveva imparato da sua nonna. "C'era una volta una gatta, che scopava la chiesa. Ci ha trovato due soldi. Pensa: mi compro un nastro p'i capille e mi affaccio alla finestra, così trovo marito. Passa il cane: «Buongiorno commare gatt', che fai 'ncopp' a' fenèste?» «Me vuoglie ammaretà... Famme sentì che voce tié!» «Bau, bau!» «Passe 'nnanze che 'nzié pe mme!» e u cane ze ne va. Passa 'u puorche..." Io ridevo alla conclusione della favola, con tutti i pretendenti respinti fino a quando non passava u surge, il topo, il quale veniva invitato con «Viene 'ngoppe, marite mie!» e mangiato senza complimenti dalla gatta, che commentava «Comme sié bbuone, marite mie!». Ridevo, e zia con me.

Uno dei campi in cui la sua attività si esprimeva era la cucina. Era opinione diffusa, e a ragione, che come cucinava Maria non cucinava nessuno. In famiglia si è sempre divisa lo scettro di cuoca a pari merito con zia Lella. Ma se zia Lella era andata verso un'interpretazione più moderna e leggera, le ricette di zia Maria erano pari pari quelle della sua infanzia, soprattutto nelle feste comandate. Le quali erano scandite dalle pietanze di rito: le lasagne in brodo, l'anguilla arrosto, il pane di Pasqua, i fiadoni, la gelatina, i mestacciuole, i peccellate.
Fra i suoi cavalli di battaglia c'erano i panzerotti fritti, dalla pasta sottilissima, che mia sorella era capace di mangiare a decine, e la pasta sfoglia, preparata con la sugna fatta in casa. La ricordo china sul piano di marmo con il fazzoletto rosa scuro che le teneva i capelli e le mani che impastavano, stendevano la sfoglia, la arrotolavano come una stella filante e poi con destrezza la stendevano in un cerchio con il mattarello, in modo che la superficie si sfogliasse a perfezione. La sfoglia si trasformava in pizza rustica, in sfogliatelle di ricotta e crema.

Tutto le riusciva e tutto era squisito, ma la cosa che amava più cucinare era il pesce. Riusciva a cavare zuppe straordinarie dalle qualità più povere. Filippo lo sapeva, quanto le piacesse il pesce. Glielo donava, e a volte si cimentava lui. «Marì, questi moscardini li ho fatti io. Che ne dici?»

Della sua vita, Filippo è un capitolo speciale.

Erano fidanzati. Lui pure era bello, alto alto e sottile sottile, lui pure era elegante, e aveva un sorriso grande. Come lei aveva un romanticismo tutto suo. Zia ricordava quando partì per il militare, e dalla camionetta che accelerava si mise a cantare "Addio mia bella addio, che l'armata se ne va..."

Non si sposarono, a causa di una madre dall'anima nera, la quale non tollerava che il figlio minore si accasasse prima delle figlie. Lui aveva un carattere impulsivo. Finì con lo sposare una donna brutta e gretta, che lo irrideva per il suo mestiere di veterinario. Mia zia decise di dedicarsi alla famiglia, Filippo svanì di scena.

Tornò all'improvviso, poco dopo la morte dei miei nonni. Con discrezione, con speranza. Con un coraggio grande, perché ci vuole coraggio a dire che si è fatto uno sbaglio enorme.

Maria, non ti ho mai dimenticato. Ho divorziato. Ti voglio sposare.

Glielo chiese non una, ma mille volte. La risposta fu sempre la stessa: Filì, che vai dicendo. Siamo due vecchi, tu hai dei figli, non facciamo pagliacciate.

Noi nipoti eravamo felici. Fui io che per la prima volta lo invitai a casa, dove non osava affacciarsi. Eravamo felici delle attenzioni e del garbo che riversava su nostra zia. Eravamo felici di vederli, due ventenni con le rughe che si erano rincontrati. Lui le faceva piccoli doni (che dovevano essere piccoli, altrimenti partiva il rimbrotto), la invitava a pranzo fuori e con lei i nipoti quando c'erano ("Sei sicuro Filì? Te ne tè, a te?", "Marì, tu che dici? Sono io che t'ho invitato!"), era ospite graditissimo in casa, dove non giungeva mai a mani vuote nonostante le proteste.
Imparò presto che le cose più semplici erano le più apprezzate. Una Pasqua si presentò con un raffinato uovo Fabergé, e alla perplessità di zia Maria si precipitò in pasticceria e tornò con l'uovo di cioccolato più grande che aveva trovato. Avrebbe voluto donarle una casa a Termoli, "l'ho presa per quando ci sposeremo". Un appartamentino bellissimo in un paese vicino, piccolo ma arredato con il sommo gusto che gli era proprio, e dove su una parete spiccava il gatto di Buzzati. La risposta, sempre identica: "Filì, n' penzà a me ma ai tuoi figli".

Non volle mai sposarlo, ma gli stette accanto più di una moglie quando lui si ammalò. Il male non lasciava speranze, e quando lo portarono in ospedale zia Maria non lo lasciò solo. Non lo lasciò solo nemmeno negli ultimi momenti. Lui la guardò. "Maria, quanto sei bella, tieni ancora nu belle personale. Quando esco di qui andiamo nella boutique più bella, voglio comprare il vestito che più ti piace e tu te lo metti quando ci sposiamo." "Va bene Filippo. Mi metto il vestito e ci sposiamo..."
Morì contento.

Quanto soffrì per quella morte, zia Maria non lo disse mai. Era una donna che non amava troppe parole, ma quando parlava di lui uscivano i bei ricordi, e quelli di quando erano giovani. Ha tenuto fino all'ultimo una foto che li ritraeva entrambi, nel cassetto nel comodino, e il dono che più aveva gradito, datole per un compleanno: una lastrina d'argento con inciso un calendario, e un pallino accanto alla sua data di nascita.
Quella foto e quel calendario sono con lei.

Per lei i ricordi sono sempre stati un conforto, non una cosa in cui crogiolarsi. I lutti la colpivano, non la piegavano. Neppure il dolore fortissimo della morte di zia Margherita la fermò. Continuò a occuparsi della casa, dei parenti sparsi per il paese, dei nipoti che la andavano a trovare. Senza mai fermarsi. Era sola, ma non era sola.

La andavo a trovare quando potevo, sempre troppo poco, sempre impedita dai collegamenti risibili, da un viaggio in macchina che non finiva mai. Fra i viaggi più belli quelli fatti in occasione della Befana. Lei rideva accogliendo il carro di Tespi composto da me, amato e gatta e condotto dal mio amico Mauro su quelle strade impossibili. Mauro rimase colpito da quella signora anziana che tutto pareva fuorché anziana. E scatenò ancor più le sue risa quando, nonostante il mal di pancia, si fece fuori due piatti di pasta al forno, a riprova che la cucina di zia Maria era irresistibile e così lei.

Quest'ultima Befana non sono andata. Zia aveva un forte mal di schiena, e farle accogliere tre persone, a lei che mai avrebbe voluto essere aiutata, sarebbe stato troppo. L'ho rivista quando sono andata a prendere zia Lella, una sosta breve, troppo breve. Volevo farle una sorpresa per il compleanno, le aveva già preso un regalo, sapendo che le sarebbe piaciuto. Una scatolina di cartone disegnata con una mamma di fine Ottocento e la sua bambina, dove avevo fatto mettere dei cioccolatini Venchi, la marca che zia mangiava da piccola. Non ho fatto in tempo a portarglielo.

Oggi zia avrebbe compiuto ottantacinque anni. Auguri zia. Lucio e io festeggiamo quattro mesi di matrimonio.   Stasera apriremo la scatolina, mangeremo due cioccolatini e tu sarai con noi.

Non sei sola. So che ti ha dato il benvenuto un grande comitato d'accoglienza, con zio Michelino a fare battute, zio Antonio a dargli manforte, zia Margherita con il suo sorriso e il suo sguardo. Sono certa che c'è anche Filippo, che ti ha atteso con pazienza per quasi vent'anni.
Una signora del paese ha detto che adesso Maria e Filippo hanno avuto il loro matrimonio. E' vero. Ovunque siano sono sposati, danzano insieme, lui le canta "Parlami d'amore Mariù".

Al funerale sono venuti in tanti a salutare. "Senza Maria songhe sule", senza Maria sono sola, la frase di tante donne che lei chiamava al telefono, che andava a trovare, che accoglieva in casa, una casa dove c'era sempre un piatto e una risposta a una domanda, e dove le persone di ogni età si sentivano ricevute con amore.
Maria era mia amica, ha detto il quarantenne Don Michele che ha officiato la messa: non giudicava e con lei potevi parlare, era sincera, la differenza di età non importava. Il piccolo Diego, arrivato dall'America e portato in visita dallo zio Pietro, appena la vide decise di starle attaccato tutto il tempo, trovando in lei un'istantanea corrispondenza. Rosalia dice che si sente persa ora che non può andarla a trovare la sera. "Mi sento come se avessi perso una mamma".

Siamo noi a essere soli.

Passerà del tempo prima di capire davvero che a quel numero di telefono non risponde nessuno.

Io sono qui, e per questo lei è qui. Ogni volta che preparerò una sua ricetta nelle mie mani ci saranno le sue, ogni volta che passeggerò fra il verde e i fiori primaverili che le piacevano tanto i miei piedi saranno i suoi, ogni volta che canterò una canzone napoletana o della sua gioventù nella mia voce ci sarà la sua. Ogni volta che vedrò qualcosa di cui mi piacerebbe parlarle lei sarà con me.

L'amore è più forte della morte. Non sono sola. Il suo cuore, il suo sorriso erano grandi. Sono un cuore e un sorriso che resteranno finché respiro.

1 commento:

  1. Grande post, devo provare!
    La cucina è anche la mia passione nei tuoi articoli si può anche vedere! Saluti

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