domenica 6 febbraio 2011

Far la festa al maiale: Pizze c'i cìcule (Pizza con gli sfrizzoli)

Drrrrriiiinnn.
"Brondo?"
"Stella mia, come stai!"
"Inzobba. Febbre bassada, ma ho il daso che berde beggio dell'agguedoddo bugliese".
"Te l'avevo detto io di fare il vaccino! Ma tu niente, sempre co' sta tiritera che non avevi tempo e dovevi lavorare! Visto che ti è successo? Il compleanno con 39 di febbre! Bella cosa!"
"Dando gabidava di ludedì, dod sarei riuscida a fesdeggiare gomungue..."
"Eh, bella consolazione! Pure a chille povere fìglie hai attaccato l'influenza!"
"Zì, se sdrilli gosì di sende bure ghille povere fìglie e lo svegli..."
"Non sia mai! Povere guagliòne, chi sa come sta accìse..."
"Dranguilla, siabo giovadi e fordi. Dibbi di de biuddosdo..."
"E che ti devo dire... Solite cose. Ho appena fatto la sugna e ci sono usciti pure un bel po' di cìcule, così ci faccio una bella pizza e la surgelo, che a papà tuo piace tanto..."
"Uuuh, 'a bìzze! E' vero, è beriodo... E gome si fa, ghe dod be l'hai mai deddo?"
"Guagliò, ma te pare momènte de penzà a 'a pizze c'i cìcule?"

Ovvio che è il momento. Dopo che una ha passato una settimana tonda tonda chiusa in casa a starnutire avrà pure il diritto di distrarsi un po'. E per distrarsi, niente di meglio di una ricetta di cucina, soprattutto in una situazione in cui persino una fetta di torta al cioccolato sa di cavolo lesso e lasciato in frigorifero per una settimana. E meglio ancora se si tratta di uno dei cavalli di battaglia familiari.

La pizze c'i cìcule è una delle prelibatezze invernali della gastronomia sannita, e un tempo non c'era famiglia che non la preparasse quando si faceva la festa al porco. Del resto, non c'era famiglia che non facesse la festa al porco, visto che il povero suino era in grado di sfamare un bel po' di gente per lunga pezza a fronte di minima spesa per l'allevamento. Il maiale veniva in genere stallato nella cantina, la quale si trovava perlopiù al piano terra, e nutrito con ricche dosi di avanzi e di pastone a base di mais e crusca. A sovrintendere al suo benessere nella nostra famiglia era la nonna, la quale era nota in tutto il paese per la bontà dei salumi che faceva: del resto il suo porco, prima di incontrare mesta fine, era trattato come un re. Un particolare suino ebbe persino l'insolito onore di entrare nella sua stanza da letto, portato lì dalla zia Maria per mostrare a mia nonna, costretta a letto da una frattura alla gamba, come il porcello stesse crescendo benissimo. E come zia Maria sia riuscita a far salire e scendere una scalinata ripidissima fino al primo piano a un maialotto che stazzava sui due quintali è cosa che tuttora ci lascia perplessi, ma credo si spieghi con la nota tostaggine delle donne di famiglia, e della zia in particolare.

Va da sé che oggi la festa al porco non la fa quasi più nessuno, se si esclude qualche famigliola che ancora risiede in campagna: primo perché suppongo che allevare un maiale nella propria cantina sia cosa da causare un coccolone a chiunque abbia una minima conoscenza di norme igieniche e sanitarie, secondo perché fare i salumi in casa è una faticaccia tremenda che prevede un nutrito numero di persone, e non da ultimo perché le mie compaesane sono ormai tutte provviste di Bimby e affini ma se gli si chiede come si fa una soppressata o una salsiccia rimangono con la mascella appesa.
Massima comprensione da parte mia, anche perché il pensiero di far secco un povero porcellino con il muso a turacciolo dopo averlo nutrito per mesi è cosa sufficiente per persuadere chiunque che la creatura, se proprio deve morire, lo deve per vecchiaia. Ma se continuo su questo tenore va a finire che mi viene la mestizia e non trascrivo più la ricetta della pizza: il che sarebbe un peccato perché, come detto prima, è una vera prelibatezza. Mi scuseranno pertanto i poveri suini, condannati a una sorte che è tanto più triste considerando che vi sono tanti bipedi i quali, nonostante la loro natura ben più porcina, non rischiano di diventare salsicce. Ma questo, come sempre, fra parentesi.

Per fare la pizza ci vogliono due cose: pasta lievitata e cìcule ovvero sfrizzoli, entrambi di ottima qualità. Potete procurarvi la prima dal vostro panettiere di fiducia e gli altri dal macellaio, risparmiandovi un mucchio di lavoro. Converrete però che a fare così non c'è gusto. Pertanto riporto paro paro il procedimento impiegato da mia nonna prima e da zia Maria adesso: sarà pure una faticata, ma la soddisfazione è pari.

Ingredienti (bastevoli per due pizze):
mezzo chilo di farina
un cucchiaino di sale
mezza bustina di lievito di birra secco
circa 300 grammi di acqua tiepida
mezzo chilo di grasso di maiale (fatevi dare quello di pancia)
un po' di pepe
pazienza ad libitum

Preparazione:
in primis dovrete approntare i cìcule, e sappiate che alla fine vi chiederete, a mezza voce perché manco avrete la forza di strillare, chi accidenti ve l'ha fatto fare. E' infatti un esercizio di pazienza zen da far cacciare i santioni a un santone. Però avrete come risultato anche dell'eccellente sugna fatta in casa, ideale per fare una pasta sfoglia che sia di quelle come si confà (a breve vi darò pure la ricetta della zia Lella, roba d'alta scuola di cucina casalinga), pertanto ne vale la pena.

Con santa pazienza fate a pezzi il grasso di maiale, mettetelo in una bella bacinella piena di acqua fredda e lasciatelo a mollo in loco fresco. Durante la giornata cambiate l'acqua un paio di volte, in modo da far diventare bianco il grasso come dice la zia Maria (ciò succede, lo dico a beneficio degli amanti del gore, perché più si cambia l'acqua più eventuale sangue presente se ne va giù per lo scarico). Quando l'acqua sarà limpida è arrivata la parte più difficile, quella di separare la sugna dagli sfrizzoli: raccomandatevi allo spirito di Escoffier, o meglio ancora a quello della grande Marietta, cuoca di casa Artusi, che sicuramente aveva con le squisitezze di campagna assai più dimestichezza di qualsivoglia chef transapino.

Prendete la vostra pentola migliore, ovvero quella con il fondo dello spessore di un cingolato, travasatevi i tocchi ben sgocciolati e accendete il fornello al minimo. Piano piano vedrete che il grasso si scioglie, e che sul fondo restano gli sfrizzoli, in una quantità che si aggira sui tre o quattro cucchiai: spegnete il fuoco, aspettate che il tutto si intiepidisca (non che si freddi), quindi armatevi di mestolo, e con santa pazienza travasate pian piano il grasso in un barattolo. Diventerà sugna candida, da impiegare oltre che per la pasta sfoglia anche per una frolla da crostate che vi stupirà per la croccantezza. Ma a voi per il momento sono i temibili cìcule che interessano: teneteli pertanto a portata di mano e a temperatura ambiente. Oppure, se avete deciso che dopo cotanta seccatura è il caso di rimandare la preparazione della pizza, surgelateli: non ne avranno alcun danno.

Fatti gli sfrizzoli, s'ha da fare la pasta: e quella si fa more solito, ovvero mettendo su una spianatoia o in una ciotola capace la farina e il lievito, impastando man mano che si aggiunge l'acqua tiepida, e aggiungendo il sale solo dopo che gli ingredienti si sono amalgamati sennò il lievito si impigrisce. Chi segue questo modesto blog sa già che, giusta i dettami di Gabriele Bonci, la pizza si può fare anche senza impastare: ma nel caso di ricette di famiglia io butto volentieri alle ortiche il trend degli impasti idratati e vi suggerisco di fare come mia zia e come le vostre zie e nonne, ovvero lavorare la pasta con gagliardìa per una decina di minuti e, quando è diventata bella elastica, farne una palla su cui farete una bella incisione a croce e lasciarla lievitare in loco ben riparato da correnti d'aria.

Quando la pasta sarà raddoppiata di volume (cosa di cui vi renderete conto perché la croce è scomparsa) toglietela dalla ciotola, ponetela su un piano ben infarinato e allargatela con le mani, badando che la superficie sia il più possibile uniforme e non si buchi. Fatto ciò, fate scaldare i cìcoli addizionati con un bel cucchiaio di sugna e con una bella spruzzata di pepe e con somma cautela versateli sulla superficie della pasta, in modo da lasciare circa un centimetro libero sui bordi. Quindi con abile mossa arrotolate la pasta su se stessa come se steste facendo uno strudel, foggiatela a pagnottella e rimettetela a lievitare per una mezz'ora.

Nel frattempo accendete il forno a 250°, acchiappate la placca e rivestitela di carta da forno in modo che sia pronta all'uso. Allo scadere della mezz'ora riprendete la pagnottella, dividetela in due e sul piano sempre infarinato foggiate ciascuna metà a forma di focaccia piatta con un bel buco al centro, come da foto all'inizio. Sistemate quindi entrambe le pizze sulla placca, e lasciate cuocere per una quindicina di minuti. Poi spegnete il forno, tirate fuori la teglia, e lasciate intiepidire.

Quando le pizze avranno smesso di fumare ma saranno ancora belle caldocce, potrete decidere di premiarvi e assaggiarne un pezzettino, assai meritato dopo tanta fatica.
Scoprirete così che sì, ne valeva la pena, di fare tutta quella fatica. Perché la pizze c'i cicule fatta in casa è morbida, croccante e aromatica come nessun'altra, e mentre la mangiate vi si scioglierà in bocca.

A quel punto decidete se volete godervela da soli oppure, cosa che vi raccomando caldamente, accompagnati. In questo secondo caso, allertate amici e persone care con i mezzi che vi sembrano più acconci, e ditegli di presentarsi a casa vostra in tempi ragionevoli e bussando con i piedi, perché le mani dovranno recare salame casereccio, formaggio stagionato e, per i non astemi, una bella boccia di rosso.

Se poi a mezza serata vi suona il vicino con occhi di bragia perché sono due ore che stornellate sul tema di "Cicerenelle teneva teneva", ditegli che avete la benedizione di Alberto Maria Cirese.

Se vi risponde "Il professor Cirese?!" fategli un sorriso a trentadue denti, acchiappatelo per le spalle e offritegli un pezzo di focaccia. E' grazie a gente come lui, infatti, se la rustica pizze c'i cicule è considerata un patrimonio da salvaguardare anziché uno scarto da nascondere di quel periodo povero in cui si allevava il maiale al pianterreno.

Se invece vi risponde con "Chi?!" ditegli che è la riprova vivente di quanto le scienze umanistiche siano inutile zavorra nella formazione di un individuo. E tornate serenamente a stornellare.

2 commenti:

  1. Racconta mia mamma di quando (tempo di guerra) facevano il sugo con la sugna. Pare fosse leggerissimo!!!!Io nata nel 1955 appartengo alle generazione dell'olio di oliva e questi gusti non li ricordo....però,però ora che ci penso mia nonna (quella delle crostate)preparava le orecchiette(rigorosamente preparate in casa da lei)con il cavolo bianco. Faceva un soffritto con aglio peperoncino e dadini di cotenna di maiale (solo la parte bianca). Quando la pasta era cotta la faceva rosolare nel tegame del soffritto e poi aggiungeva abbondante pecorino grattuggiato!!!Una delizia....mai più provata!!!
    Auguri per il compleanno! per regalo vorrei raccontarti della "Pasta di DonnaPernice" dove te la scrivo?

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  2. Paola, sigh... Ho avuto una ricaduta dell'influenza, sono rimasta completamente rimbecillita per più giorni, e mi sono accorta solo ora del commento...
    Grazie mille per gli auguri! La storia di Donna Pernice puoi inviarmela via mail? L'indirizzo lo ha Annuska, non lo metto sul blog sennò mi becco la sagra dello spam :)

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