martedì 13 aprile 2010

La pizza di Bonci e il frac del Gattopardo

"Tutto era placido e consueto, quando Francesco Paolo, il sedicenne figliolo, fece nel salotto una irruzione scandalosa: 'Papà, don Calogero sta salendo le scale. È in frac!'
Tancredi quando udí la fatale parola non poté trattenersi e scoppiò in una risata convulsa. Non rise invece il Principe sul quale, è lecito dirlo, la notizia fece un effetto maggiore che non il bollettino dello sbarco a Marsala. (...)
Il suo sconforto fu grande e durava ancora, mentre meccanicamente si avanzava verso la porta per ricevere l'ospite. Quando lo vide, però, le sue pene furono alquanto alleviate. Perfettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva però affermare che, come riuscita sartoriale, il frac di don Calogero era una catastrofe. Il panno era finissimo, il modello recente, ma il taglio era semplicemente mostruoso. Il Verbo londinese si era assai malamente incarnato in un artigiano girgentano cui la tenace avarizia di don Calogero si era rivolta. Le punte delle due falde si ergevano verso il cielo in muta supplica, il vasto colletto era informe e, per quanto sia doloroso è pur necessario dirlo, i piedi del sindaco erano calzati da stivaletti abbottonati."

Putacaso non aveste risconosciuto questo brano (e nel caso così fosse vi suggerisco di recarvi quanto prima in libreria), sappiate che è uno dei passaggi di maggior rilievo de Il gattopardo, capolavoro di Tomasi di Lampedusa.
Se poi non conoscete la pizza di Bonci sappiate che vi siete persi una delle meraviglie gastronomiche dell'Italia intera. Nel qual caso vi suggerisco di farvi una passeggiatina in quel di Roma a via della Meloria, dove il citato Bonci crea sublimi capolavori nel suo locale Pizzarium.
Gabriele Bonci è il maestro e mentore della mia amica Paola, che tempo fa ha ben pensato di veleggiare verso lidi olandesi e di mettersi lì a far la panificatrice e pasticcera. Dopo i miei recenti tentativi di arte pizzaria, devo dire tutto sommato non malvagi, Paola mi ha suggerito la ricetta della pizza come fatta da Bonci pirsonalmente di pirsona. Detta ricetta è eccellentemente spiegata nel video che trovate qui sotto, e che lascerà ipnotizzati tutti gli aspiranti pizzaioli: guardate che spettacolo.

Voi a questo punto mi chiederete: e che ci azzecca il mago della pizza con il capolavoro del principe siculo?
C'entra.
Perché, come nel caso del frac di don Calogero, il verbo di Gabriele Bonci si è malamente incarnato nella assoluta imperizia di Jessie Ricetta. Lo si può desumere facendo il paragone fra la sublime pizza che si vede alla fine del video su postato e il mostricino malriuscito ritratto nell'incipit.
Va detta però una cosa: brutto sì, il mostricino, ma non si sa quant'era buono. Merito del Bonci beninteso, mica mio.
Per cui vi propongo la ricetta di codesto appetitoso semi-disastro gastronomico con le notazioni della sottoscritta relative al suo darsi del tu con il verbo bonciano, convinta che dove io sono riuscita a fare una pizza buona ma orrida voi sarete in grado di farne una tanto buona quanto bella. Le dosi sono metà rispetto a quelle suggerite nel video, giacché come primo tentativo mi son tenuta prudentemente bassa con le quantità.

Ingredienti:
500 grammi di farina buratto oppure 0, di eccellente qualità
400 grammi di acqua
3 grammi di lievito secco (non i cubetti, raccomanda Bonci, in quanto vai a sapere quali maltrattamenti possono subire nel trasporto, nella conservazione in frigo e quant'altro)
mezzo cucchiaio di sale
un cucchiaio di olio
farina di grano duro quanto basta
due etti circa di broccoletti, o cime di rapa che dir si voglia

Preparazione:
come dice il mago, la farina è componente fondamentale. Ci vuole quella buona, ché quelle che si trovano comunemente sono inerti peggio di un cadavere. Io seguendo il suggerimento di donna Paola ho preso quella del Mulino Rosso che si trova facilmente in nota catena di negozi di alimentari e casalinghi biologici, e ho notato la netta differenza. Se poi voi avete il molinaro di fiducia, rivolgetevi a lui e sappiate che vi invidio.
In una capace terrina iniziate a mescolare la farina e l'acqua (il Bonci, parbleu, usa allo scopo il cucchiaio), facendo una pastella. Aggiungete quindi i 3 grammi di lievito (così pochi?, chiederete voi; sì, così pochi, giacché bastano e soperchiano, come ha avuto modo di vedere l'arciscettica sottoscritta) e continuate a mescolare. Poi il sale, e continuate a mescolare. Infine l'olio, e sempre mescolate. Una volta che il tutto si è incorporato, lasciate riposare per dieci minuti. Quindi prendete l'appiccicosissimo composto, mettetelo sul piano di lavoro ben cosparso di farina di grano duro e impastate con delicatezza, ripiegando a metà la pasta alternando la piegatura verso di voi e verso il centro: in tal modo essa si asciugherà. Bonci per inciso compie questa operazione con la grazia di un ballerino, io mi sono trovata immersa nella semola e nella pastella appiccicaticcia fino alle sopracciglia, ma in qualche modo me la sono cavata.
Fatto ciò, rimettete la pasta nella ciotola ben cosparsa di semola e ponetela per ventiquatt'ore nel frigo, nello scomparto riservato alle verdure dove è meno probabile che abbia choc termici. Sì, avete capito bene. Nel frigo. Paola mi aveva preannunciato che i lieviti si mantengono attivi anche a basse temperature, notizia che io avevo accolto con parecchi dubbi. Detti dubbi sono andati a quel paese quando, aprendo il frigo dopo il tempo prescritto, ho scoperto che la pasta era in sostanza traboccata dalla scodella.
Superato lo choc, mi son quindi disposta con timore a preparare la base della pizza, giacché quella proposta dal Bonci nel video era una pizza ripiena.
Il Bonci, da mago qual è, tratta la pasta con amore: la mette sul piano ben infarinato di semola, la allarga delicatamente facendo pat pat pat sulla superficie con la punta delle dita fino a ottenere una sfoglia uniforme, quindi la solleva con il palmo della destra, la adagia capovolta sul dorso della sinistra, infila sotto la pasta il dorso della destra e sollevando entrambe le mani con mossa da etoile adagia la sfoglia nella teglia. La sottoscritta, paralizzata dalla pasta che era insolitamente appiccicaticcia e morbidissima, facendo pat pat pat si è ritrovata con una sfoglia sottile al centro e spessa ai bordi, che si è mestamente bucata in più parti non appena ha tentato il gioco di prestigio coinvolgente i dorsi delle mani. Ha pertanto foderato la teglia (niente olio sul fondo, per inciso) rappezzando detta sfoglia come meglio le riusciva.
Fatto ciò si mettono i broccoletti che, come dice Bonci, sono bellissimi. Ed è vero. Così belli che li si mette a crudo. Niente condimento, niente di niente. Così sono liberi di dare il meglio di sé. Come non essere d'accordo.
In ultimo si fa la sfoglia superiore con il procedimento suesposto. Nel mio caso, detto procedimento è stato un esatto replay del primo, con conseguente sagra del rappezzo pure in questo caso. Ma oramai già mi ero rassegnata, e come da ricetta del maestro ho messo sulla superficie un filo d'olio.
Ho quindi infilato la teglia in forno già caldissimo a 250°, seguendo scrupolosamente i dettami bonciani: dieci minuti nella parte bassa del forno, dieci nella parte alta, il che è stato bastevole a cuocere la pizza.
Ho quindi sfornato, atteso che la teglia smettesse di scottare come l'inferno, e portato in tavola con sguardo vergognoso.
I miei commensali, che per mia fortuna son gente comme il faut e non hanno fisime riguardo l'aspetto di una pietanza purché se magni bene, hanno dato l'assalto. E hanno detto che la pizza, oltre a essere assai gustosa (alto gradimento, fra le altre cose, per il broccoletto che si era delicatamente stufato), era leggera da non dirsi.
La leggerezza si spiega con il fatto che il lievito era in percentuale ridottissima, così insegna un amico panettiere di Dottor P. Io di chimica e panificazione non so nulla, ma posso confermare la leggerezza visto che in tre ci siamo pappati tutta la teglia e il pomeriggio, anziché agonizzare come sempre succede dopo pasto pizzesco, abbiamo fatto tranquillamente una ricchissima merenda.
Giacché mi è rimasta mezza bustina di lievito e mezzo chilo di farina, mi cimenterò quanto prima in una nuova pizza. A strato singolo, così il rappezzo non fa danni estetici. Penso che, come dire, l'amato bene apprezzerà.
E mi premurerò di comunicare la ricetta alla zia Lella non appena torna dal paesello. Il suo cruccio, mi ha confessato di recente, è che oramai una pizza come si deve non riesce più a farla perché non ha più la forza per impastare.
Mi pregusto già la sua faccia quando le rivelerò che, per fare una pizza come si deve, impastare con la forza non è affatto necessario...

1 commento:

  1. Brava! L'importante è il gusto per l'aspetto possiamo sempre migliorare!

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