lunedì 26 luglio 2010

E la micia, la micia, e la micia l'è bèla, l'è bèla...

Nome: Gelsomina
Nascita: 9 maggio 2010
Peso: 1.260 g (al 24/07/2010)
Segni particolari: discola
Cibo preferito: ciabatte e scarpe, dita di papà, piedi di mamma.
Trasmissione preferita: sceneggiati d'antan in lingua originale (con o senza sottotitoli), Super Quark
Altre preferenze: alimentatori elettrici collegati, cavi di qualunque genere, tappetini da bagno, lenzuola nuove

Nel weekend, visita dal veterinario e sessione di pulizie casalinghe. La prima l'ha passata tranquillamente nel trasportino, con contorno di sguardi e parole di apprezzamento: è stato più difficile attraversare il mercato con la gatta che il centro di Roma con i turisti. La peste su quattro zampe (*) ha poi passato il tempo delle pulizie nel suo ripiano di libreria preferito, da noi bloccato con cartone traforato per evitare che decidesse di esplorare l'aspirapolvere dall'interno o leccare il detergente per sanitari. Ha infatti trovato già i suoi posti preferiti in giro per casa - non che ci volesse molto...

Il dottore dice che la frattura si sta saldando bene: riflessi e forza nelle zampe sono in recupero, e anche la ripresa dei tessuti sta meglio di quello che pensava all'inizio. Si è stupito con noi che la micina non abbia fatto una piega né quando le ha fatto inghiottire il vermifugo, né quando le ha fatto l'iniezione del vaccino: non un miao né accenni di fuga. Ha dato l'ok per lasciarla libera in casa quando ci siamo noi, per farla abituare allo spazio, addestrarla ai pericoli casalinghi, ma anche e soprattutto per far sfogare la sua curiosità. Si è raccomandato che salti meno di un metro, per evitare che la frattura sia sottoposta a sollecitazioni troppo forti: stiamo quindi attenti quando si arrampica - soprattutto quando lo fa su di noi. Gradisce molto il grembo della mamma, ma il suo compagno di giochi preferito è il papà - soprattutto quando ha scoperto che riesce a salire agevolmente sulle sue ginocchia, aggrappandosi con le unghiette sotto il pelame paterno.

Ieri è stata la volta di una graditissima visita da parte di Paolo e Tania, più belli che mai e molto incuriositi dall'esserino zamputo che ormai gira in casa con assoluta sicurezza. Ha sfoggiato tutto il repertorio olimpico:

salto sul tiragraffi con pallina
arrampicata sul divano
scalata di ospite con presa d'unghia sulla spalla
giro del tavolo con salto di computer portatile e materiale da lettura
esplorazione degli scaffali e sottomobili
pasteggio del pelouche preferito
partita di calcio con palla di carta
appollaiamento sullo schienale del divano
caccia al topolino appeso (courtesy by mamma e papà)
esplorazione della cucina

In attesa della prossima sessione di giochi gattolimpici, prevista per stasera con l'altrettanto gradita visita dei nostri amici Anna e Vincenzo, ieri sera la piccola si è addormentata sul divano accanto alla mamma dopo una bella sessione di fusa rilassanti con pasteggio sul pelouche.

Oggi purtroppo è giorno feriale, e la piccola deve passarlo nel piatto doccia - ormai la cuccia costruita con il nostro amico Massimo non bastava più a trattenerla. Recupereremo stasera :)

(*) citazione da antica canzone anglosassone

Nota di Jessie:
quando al mattino anziché dal frastuono della sveglia una JessieRicetta viene destata da un amato bene che girellando con la gatta in braccio canta "E la micia, la micia / e la micia l'è bèla, l'è bèla / anche se è un pò monèla, monèla" e anziché alzare gli occhi al cielo fa un sorriso ebete, si può essere sicuri: that's love.

venerdì 23 luglio 2010

Mostro spaziale di zucchine ripiene e formaggio

In una recente chiacchierata con il sempre gentile Marco DB, l'amato bene ha descritto la nostra serata tipo: "Ci si piazza sul divano, si mangia in santa pace ciò che Jessie ha preparato, e si dà il via alla visione, a seconda dell'estro e del momento, di film di Bud Spencer e Terence Hill, di serie televisive in lingua originale e di cartoni animati giapponesi. Poi al momento di andare a ninna ci si dedica alla lettura di libri e fumetti."

Marco DB ha detto che gli pare una bellissima vita da nerd. Altra gente commenterebbe forse che alla nostra età l'amato bene e io ci dovremmo vergognare.

Noi però non ci si vergogna punto. Ci piace assai, divertirci in questo modo.

Il divertirci in questo modo ha poi di tanto in tanto anche ripercussioni in cucina. Ad esempio nel piatto che propongo, il quale è figlio di recenti e ripetute visioni di Goldrake (che noi abbiamo fieramente con il doppiaggio storico in barba alla suicida operazione compiuta dalla D/Visual, ma tutto ciò meriterebbe un post a parte), e del fatto che per questioni di spazio risicatissimo in frigo avevo ben pensato di sistemare le solite zucchine ripiene già pronte in uno stampo di alluminio da plum cake.

Giacché sia il prepararlo che il gustarlo ha causato grande allegrezza in me e nel mio compagno di casa e di vita (che in orario serale abbiamo un'età mentale paragonabile a quella di bambini frequentanti l'asilo), ve lo suggerisco in caso abbiate a tavola commensali in erba. Ma procediamo con ordine, e mi scuso fin d'ora per la mancanza di materiale fotografico che illustri passo passo la preparazione: come sapete, adesso ho una micina inferma a cui badare e le smancerie con la digitale tocca lasciarle da parte.

Ingredienti:
tre zucchine romanesce o scure belle cicciotte e polpose
una manciata di pane raffermo
un etto scarso di provolone dolce grattugiato, o altro cacio che vi garbi
una fetta di mortadella
qualche foglia di basilico
un paio di cucchiai d'olio più un po' per irrorare
un po' di latte
due o tre cucchiai di salsa di pomodoro (facoltativa)
una formaggella primosale di pecora di forma cilindrica, del peso di circa due etti
due grani di pepe, o analoghi semi
pepe macinato

Preparazione:
tagliate le estremità delle zucchine, sbollentatele per qualche minuto quindi passatele sotto l'acqua fredda (a lungo, onde scongiurare il pericolo di ustioni) e tagliatele a metà nel senso sia della lunghezza che della larghezza. Quindi con somma pazienza e un coltellino ben affilato togliete la polpa interna badando a non rompere l'involucro verde, schiacciatela con la forchetta e mettetela in una padella antiaderente.

In detta padella aggiungete quindi la manciatona di pane raffermo e i due cucchiaio d'olio e fate scaldare sul fuoco basso, amalgamando il tutto con il cucchiaio di legno. Quando vedete che il composto sta raggiungendo una consistenza cremosa e liscia addizionatelo con la fetta di mortadella a pezzettini e il cacio grattugiato, date una bella mescolata e spegnete il fuoco lasciando intiepidire.

Adesso è il momento di darsi del tu con la farcitura. Prendete una teglia antiaderente che sia in grado di ospitare comodamente le vostre cucuzze, metteteci un goccino d'olio (proprio un goccio, per evitare l'effetto frittura) e quindi procedete a farcire le mezze zucchine con il composto aiutandovi con un cucchiaio e badando sempre a mantenere integro l'involucro, adagiandole poi sul fondo della teglia. Completate passando su ciascuna un po' di salsa di pomodoro e un filo d'olio e mettete in forno già caldo a 180° per una decina scarsa di minuti, poi tirate fuori la teglia e lasciate freddare.

Fatto ciò, acchiappate uno stampo da plum cake (va benissimo anche quello usa e getta di alluminio, oppure qualsivoglia contenitore rettangolare la cui larghezza sia un terzo circa della lunghezza) e con somma cautela metteteci dentro le vostre zucchine ripiene, badando che la parte superiore resti a faccia in su e che il contenitore venga ben riempito, evitando cioè spazi vuoti fra una cucuzza e l'altra. In corrispondenza di quella che sarà la testa, ponete le zucchine in senso orizzontale anziché verticale. Quindi lasciate riposare almeno mezz'ora, se possibile in frigo, in modo che il tutto si compatti.

A questo punto si è alla fase conclusiva: prendete un piatto di portata, poggiatelo sullo stampo e con abile mossa rovesciate. Se tutto è andato bene, il corpo centrale del mostro spaziale si staglierà bello compatto al centro del piatto. Se va male e si sbraca, armatevi di pazienza e risistematelo con l'aiuto di un par di posate, tanto la pietanza è buona lo stesso.

Fatto il corpo, mancano le alucce e la testa. A ciò si procede tagliando a metà la formaggella nel senso dell'altezza e ricavandone dieci fette di spessore il più possibile uguale che vanno disposte lungo i lati come da foto. Come tocco finale, mettete i due grani di pepe o analoghi semi sulla faccia del mostrino a mo' di occhi (se avete semi di forma oblunga come i grani di cardamono è meglio, poiché gli conferiranno un aspetto minaccioso) e completate con una spruzzatina di pepe lungo le ali.

Quindi portate in tavola, e sentitevi orgogliosi più di una mamma giapponese che per la sua creaturella in età scolare ha realizzato il temibile bento con gli onigiri a forma di dinosauro o di incrociatore spaziale. E mangiate il vostro mostro in compagnia di chi vi è caro con l'allegria della succitata creaturella in età scolare.

Questa ricetta è dedicata alle piccine della ineffabile bimamma Valentina di Passodoppio, che il 21 luglio hanno compiuto un anno. Auguri gemelli :*

venerdì 16 luglio 2010

A piccoli passi si percorrono grandi distanze

"Gelsomina adesso sta bene: dai 650 grammi di quando l'abbiamo trovata, ormai si avvia verso il chilo. O forse l'ha già superato: pesarla è un'impresa, visto che quando la tiriamo fuori dalla cuccia si agita come una forsennata (non dite di pesarla tenendola in braccio: di braccia ne servono almeno due assieme).

Miagola, cammina, agita la coda: il dottore aveva detto che se non l'avesse più mossa l'avrebbe dovuta tagliare, e dopo una settimana lei ci spazzola per bene con quel suo pennellino. Ha anche fatto un bel salto dal grembo della mamma, seduta sul divano, al pavimento. Il dottore ci ha giustamente rimproverato: deve stare ferma almeno venti giorni! Però qualcuno dovrebbe dirlo a lei. E comunque per cambiarle la lettiera e darle la pappa è necessario tirarla fuori, altrimenti cercherebbe le coccole da mani impegnate in altro.

La zampina posteriore sinistra, quella interessata dal rientro dell'osso nella frattura, è ancora un po' debole e ogni tanto le cede, ma questo non la ferma. Quando riusciamo a farla calmare un po' continua beatamente a fare la pasta, adesso su un pelouche che apprezza tantissimo, così come la culla di abiti da gatto che abbiamo sempre da parte per lei. Dorme tranquillamente nella nuova cuccia che il nostro amico Massimo ci ha aiutato a costruire, e possiamo tenerla accanto a noi la notte o portarla in sala quando siamo in casa. Certo, c'è sempre il problema del sole: ma almeno non deve stare in un bagno cieco.

La mattina ci svegliamo prima, ma ci rilassiamo nel lettone insieme a lei prima di andare a lavorare, e ci sentiamo più vivaci. La sera, ci salutiamo con le coccole. Il problema è quando la rimettiamo in cuccia, come sempre: i suoi lamenti sono strazianti. Però dobbiamo, perchè il giorno dopo c'è sempre il lavoro.

Comunque sia, è fantastico pensare cosa può fare una settimana di cibo sufficiente, riposo e attenzioni. Pensateci quando voi, o chi amate, vi troverete con una bella luna storta."


Nota di Jessie:
quanto sopra è stato scritto da LP pirsonalmente di pirsona, ed è il suo primo vero contributo, se si escludono i suoi sempre preziosi consigli, a codesto piccolo blog.
Da parte mia, mi vien solo da citare (a memoria e perciò di certo malamente) una frase di quel bel libro regalatomi l'estate scorsa da Tania.
"Ringrazio la vita di avermi dato quest'uomo buono."

lunedì 12 luglio 2010

E' arrivata Gelsomina!

"Ma come, non era «E' arrivato Zampanò!»?", mi chiederanno i lettori più cinefili.
Lo sarebbe stato se si fosse trattato di un maschietto, ma è una gattina.

Gelsomina l'abbiamo trovata in strada giovedì scorso, mentre stavamo andando al lavoro.
Era rannicchiata vicino a un cancello, e quasi non riusciva a muoversi.
Si vedeva che stava risparmiando le forze. L'atteggiamento che assumono tutti, animali e cristiani, quando sentono che non gli resta molto.

Non potevamo lasciarla lì. A prescindere. E men che meno dopo che, due giorni prima, ci avevano ammazzato di fronte un micino poco più grande di lei, investendolo e lasciandolo lì ad agonizzare. Ho pianto tutto quello che potevo piangere. E quando ho visto la creaturina vicino al cancello ho deciso, e il mio compagno con me, che lei non avrebbe fatto la stessa fine.

Con l'aiuto di una mia collega l'abbiamo portata da un veterinario. Lì abbiamo scoperto che si trattava di una gattina, e che aveva una brutta frattura al bacino e all'osso pelvico al momento non operabile perché era una micina troppo giovane. Abbiamo scoperto pure che nonostante le sue condizioni era vivace e affettuosa. Quando il mio compagno le ha fatto una carezza ha chiuso gli occhi e ha fatto le fusa.

Abbiamo deciso di adottarla. E' rimasta in osservazione per due giorni e sabato mattina l'abbiamo portata a casa.

Siamo due "genitori" molto inesperti, visto che nessuno dei due ha mai avuto un gatto in casa. Ma facciamo del nostro meglio.

Seguendo il consiglio del veterinario le abbiamo fatto una cuccia nel nostro piatto doccia, perché deve stare a riposo assoluto e quindi deve stare in uno spazio limitato. Cosa necessaria, perché ha l'argento vivo addosso. Ogni mattina farsi la doccia è un casino, ma abbiamo messo a punto una procedura che funziona bene: mentre uno è sotto la doccia l'altro la tiene in grembo e le fa le coccole, e fra docce, asciugare tutto fino all'ultima stilla d'acqua e riallestire la sua cuccia con giornali, lettiera, ciotole, tappetino per dormire e tiragraffi ci vuole meno di un'ora.

Nel frattempo lei sta in grembo e passa le mezz'ore a fare la pasta. Ama soprattutto farla al mio compagno, che sembra piacerle moltissimo: gli sta attaccata addosso con aria beata e lui è un fiero mammogatto. Quando lui è impegnato, io tenendola in braccio le faccio una specie di culla con una sua vecchia maglietta e Gelsomina è tutta contenta.

E' meno contenta quando dobbiamo rimetterla nel box doccia: miao, miao, miao, con un tono che ti spezza il cuore. Ma si deve pur andare al lavoro. E visto che si tratta della malefica Urbe, stiamo fuori di media dieci ore e passa, causa trasporti, straordinari eccetera. Ma rimediamo al ritorno con una megadose di coccole. Visto che il nostro bagno è cieco (belli, i miniappartamenti di città), e che non possiamo tenere alzate le serrande delle finestre disponibili nelle altre due stanze causa elevato rischio di furti, le abbiamo comprato una lampada a luce tenue che le lasciamo sempre accesa. Per farle sentire un po' meno la solitudine nella sua casetta c'è un asciugamano morbido che abbiamo ben manipolato perché ci restasse il nostro odore. Non è un granché, ma come dice il mio saggio amato bene, certo è meglio così che starsene ferita in mezzo a una strada. E alla mancanza di sole suppliamo, sempre dietro consiglio del medico, con qualche goccia di vitamina D. Dargliela è facile, perché scambia il contagocce per un capezzolo e ci si attacca.

Gelsomina comunque pare star bene. Mangia con grande appetito, cerca sempre di giocare e, sempre per citare il mio facondo e immaginifico amato bene, ronfa continuamente con toni da motore d'aereo.

Io quando la tengo in grembo e lei fa le fusa provo una sensazione strana, bella e che mi mette persino un po' paura. Non capisco bene di che si tratta ma è emozionante. Anche il mio compagno di casa e di vita pare assai emozionato.

So che fra i miei gentilissimi lettori vi sono parecchi gattari. Se voleste darci dei consigli, noi saremmo tanto tanto grati.

Vado a fare due coccole a Gelsomina.

Un sorriso a tutti voi.

domenica 4 luglio 2010

Medieval Total Flop: Barbarossa di Renzo Martinelli

L'amato bene dice sempre che io ho una sgradevole tendenza ad arrabbiarmi.
Io gli ribatto che è vero, ma che se mi inalbero è sempre a ragion veduta.
Al che lui mi dà ragione, ma ribatte che, quantomeno, i motivi per inalberarmi dovrei cercare di evitarli, anziché andarne a caccia con il lanternino.
Ad esempio, vedendo brutti film. Sapendo già prima di vederli che sono brutti film, e che quindi potrebbero essere causa di incazzatura.
Incazzatura che diviene ancora più belluina se detti film vengono prodotti con i soldi delle mie tasse, e anche di quelle dell'amato bene, nonché delle vostre. Ma questo fra parentesi.

Voi mi chiederete forse: ma se già sai in anticipo che ti prenderai un'arrabbiatura solenne, perché ti fai del male?
Perché voglio avere la sicurezza di arrabbiarmi a ragion veduta.

Prendiamo ad esempio Barbarossa di Martinelli. Su questo film, nonché sul suo regista, ne son state dette di cotte e di crude, in primis che sia un mero prodotto di propaganda politica per la Lega e che Martinelli sia una mezzacalzetta cui riesce di far film solo perché promosso e sostenuto dalla destra. Trattandosi di un'epopea sull'eroe preleghista numero uno qualche sospetto potrebbe venire, e il fatto che vi sia un cammeo di quel certo senatore che ha una spiccata tendenza a inveire contro Roma ladrona tende a confermarlo. D'altro canto, si potrebbe pensare che lo spregio che trasuda dalla maggior parte delle recensioni sia frutto di una visione di parte, cosa che il regista non ha mancato di sottolineare in ogni intervista.

Io personalmente non l'ho visto quando è uscito al cinema poiché in tutt'altre faccende affaccendata, e non da ultimo perché i trailer disponibili online mi avevano fatto ammutolire per la bruttezza. Però sarebbe ingeneroso condannare un film in base al trailer, e assai pigro stroncarlo solo perché amici e recensori fidati ne han fatto macinato per il gatto.

Sicché, quando un amico ha ben pensato di omaggiarmi di una copia pirata del film - e prima che i leghisti ululino sui terroni e i loro prodotti tarocchi tengo a precisare che detto amico è di Martellago, provincia di Venèssia - in quanto, testuali parole, "proprio non sono riuscito a finire di vederlo", mi sono messa diligentemente davanti allo schermo del pc che impiego a mo' di televisore per farmene opinione diretta e ragionata.

Dopo due ore e passa che mi hanno fatto alternativamente sanguinare gli occhi, prorompere in insulti cavapelle e ridere fino alla convulsione, posso dire con cognizione di causa che Barbarossa è una cazzata apocalittica.

Sul fatto che Alberto da Giussano sia un personaggio storico più o meno quanto Babbo Natale, chissenefrega. Di film su personaggi mitici ne sono stati fatti a bizzeffe, per cui è lecito, e volendo è lecito pure dargli una patente di storicità. Per farlo, però, tendono ad essere necessarie cosucce tipo un cast come dio comanda, una sceneggiatura fatta come si deve e un'ambientazione credibile.
Queste tre cose sono completamente assenti. E il caro Alberto, come dire, ne risente un po'.

Ne risente anche il fatto che a intepretarlo sia Raz Degan. Il quale ha due espressioni: con i capelli corti, e con i capelli lunghi e bisunti da wrestler allergico all'acqua. L'avevo visto in Centochiodi di Olmi, che ne aveva sfruttato al meglio l'intensa espressione bovina rendendolo un personaggio insondabile e per questo affascinante, ma Martinelli non è Olmi. Vi lascio immaginare pertanto quale carisma mostri il capo lombardo appetto al Barbarossa, interpretato da Rutger Hauer. Chi lo ricorda in Blade Runner sia buono con se stesso ed eviti questo film: ne avrebbe un trauma da segnarlo a vita. Non che Hauer sia cane beninteso: è semplicemente spaesato. Nasconde la sua perplessità con una serie di espressioni facciali assolutamente inutili, e ha lo sguardo di chi pensa "vabè, tanto codesta boiata all'estero non la vedrà nessuno, e intanto mi sono rimpinguato il portafogli".
Non è il solo attore con il curriculum che si vede nel film: l'altro è F. Murray Abraham, e chi lo ricordasse nell'Amadeus di Milos Forman sia ancora una volta buono con se stesso. Non è spaesato: semplicemente non sembra lui. Recita come una muta di cani. Pertanto è in eccellente compagnia con il resto del cast, che annovera in parti eque bietoloni inespressivi e bellone che lo sono altrettanto e si distinguono l'una dall'altra per il colore dei capelli.

Il cast, però, è da visibilio in confronto alla scenografia. La quale sembra sia stata messa su dai creatori di Art Attack in un giorno in cui la digestione era particolarmente difficile. Le mura di Milano, circondate da un temibile fossato largo una ventina di centimetri e profondo all'incirca la metà, sono risibili, e hanno l'aspetto di compensato dipinto a tempera e incollato con lo sputo: ne hanno pure la consistenza, visto che quando durante il celeberrimo assedio vengono colpite dai proiettili infuocati delle catapulte (che sembrano usciti, sia gli uni che le altre, pari pari dal peggior videogioco) si vedono volare per l'aere pezzi assortiti di cartongesso. In compenso gli spalti della cinta e la città tutta di Milano, dalle strade agli interni, sembrano appena puliti da una torma di collaboratrici domestiche rumene: dove ti giri e ti volti, non c'è un briciolo di polvere o zozzeria manco quando infuria la battaglia giacché si sa, le città nel Medioevo erano sporche e malsane solo a sud della Padania. La polvere è assente anche in qualsivoglia altro loco, e per motivi ignoti pure la mobilia. Vedere il palazzo del Barbarossa ignudo come un capannone abbandonato fa cadere le braccia. In compenso ci sono, ad esempio, delle perfette finestre piombate in stile fintoantico che sembrano uscite lilì da una fabbrica della profonda Cina, e probabilmente lo sono. Sono cose come queste che scaldano il cuore a un appassionato di storia.

Chi poi è appassionato di storia delle armi ha motivo di bearsi. La produzione si è vantata di aver fatto creare ex novo centinaia di abiti basati sull'iconografia del periodo e approntati da solerte manovalanza indiana: il che non spiega perchè molte delle comparse siano vestite con costumi che sembrano usciti dal più scalcinato teatro di provincia, ma si sa che le comparse le guardano solo quei rompipalle di cinefili. Spiega però perché le armi sembrino uscite da un magazzino Giocheria, reparto fantasy e medioevo. Le balestre sono in puro compensato, le torri d'assalto sono la sagra del buco (fessi quei milanesi a non buttargli addosso della sabbia bollente, ché ci verrebbe un fritto misto di nemico con i fiocchi), le armi da taglio realizzate in quel che sembra materiale plastico con una spruzzata di argentone. Non si capisce poi perché la cavalleria imperiale vada all'assalto con armature in foglio d'alluminio e le cavalcature non protette in qualsivoglia modo, che basta il colpo di falce del primo bifolco per far secco il guerriero teutonico: sarà perché se il succitato bifolco si fosse trovato davanti il cavaliere con l'armatura d'ordinanza, spessa come un muro e del peso di circa cinquanta chili, e a cavallo di bestione ben difeso da protezioni in metallo, si beccava un calcione nel posteriore e tanti saluti all'epopea padana.

Sulla sceneggiatura ci sarebbe da scrivere un trattato. E' infatti la perfetta sintesi di tutto quanto una sceneggiatura come si confà non dovrebbe essere. I dialoghi sono o stomachevoli per finto pathos o involontariamente ridicoli, i personaggi piatti come un'asse da stiro. Kasia Smutniak nei panni della pazza menagramo fa piangere, ma trattandosi di figura che ha lo stesso spessore storico dell'Alberto ci si può passare su. Il problema è quando i personaggi storici vengono biecamente piegati a esigenze di copione. E se del Barbarossa non si può fare a meno visto che è avversario del lombardo, qualcuno mi spieghi per quale accidente di motivo si deve tirare a forza nella mota Ildegarda di Bingen. Nel film sembra una visionaria deficiente avvilita da un copricapo a fusoliera, e nessuno sospetterebbe che si tratta di una delle più grandi mistiche del Medioevo. Però, tocco di classe, si allude sorvolando al fatto che "compone musica". Alludere sorvolando a ciò è un insulto, visto che Ildegarda è una delle compositrici di maggior spessore del periodo. Per inciso, fu anche drammaturga, cosmologa, teologa, filosofa, creatrice di lingue artificiali, e la lista potrebbe continuare all'infinito: vederla impiegata come comparsa da quattro soldi è cosa che grida vendetta a dio, e non solo perché è, fra le altre cose, una santa della romana chiesa. Che poi per darle corpo si svilisca un'attrice come Angela Molina è cosa che grida vendetta e basta.

Il colpo finale al tutto lo dà la regia. Di Martinelli ho visto diversi film, e nessuno mi ha convinto. Vajont riesce a rendere noiosa una delle vicende più appassionanti e drammatiche che abbiano segnato la storia del nostro paese, Porzus vorrebbe essere un'opera anticonformista ma risulta un polpettone indigesto, su Piazza delle Cinque Lune e Il mercante di pietre non mi esprimo perché in franchezza ho spento lo schermo per la noia. Se però altrove ogni tanto un guizzo di mestiere si trovava, qui non ve ne è traccia. La vagonata di milioni piovuti sulla produzione sembrano avere inebetito del tutto qualunque capacità di regia, e francamente non si capisce come siano stati spesi. Le riprese dei combattimenti, la cui coreografia fa pena e che dovrebbero essere il fulcro del film, sono piattamente televisive e la strombazzata crowd replication fa rimpiangere la versione beta di Medieval Total War: si vede lontano un miglio che le comparse sono al massimo una trentina, malamente replicate al computer in fittizie riprese dall'alto e mestamente sparse in gruppi di tre o quattro in quelle ravvicinate. L'effetto è avvilente, e rende i peggior filmacci storici prodotti con quattro soldi capolavori di credibilità.

Barbarossa, in sintesi, non è un pessimo film perché fa, come sostengono in molti, propaganda politica pro Lega. E' un pessimo film e basta.

Questo pessimo film, per inciso, è stato considerato di "interesse culturale nazionale", ed è costato 30 milioni di euro di cui 12 usciti dalle nostre tasche tramite mamma Rai che lo ha coprodotto. In sala, ne ha incassati poco più di ottocentomila nonostante una pubblicità martellante nei confronti degli elettori leghisti.

I quali elettori leghisti avrebbero, altrettanto per inciso, qualche motivo di incazzarsi. Barbarossa, oltre ai 400 costumi realizzati da manovalanza indiana (e dire che si sa, in fatto di costumi cineteatrali noi si bagna il naso a chiunque), si avvale di 12.000 comparse. Quasi tutte rom, che costano meno. E rom di nazionalità rumena, visto che il film è stato girato interamente in Romania. Sicché a rappresentare la Padania si sono impiegate le vaste pianure (paesaggisticamente stupende, va detto) di uno dei paesi più amati dai seguaci del senatùr, e a vestire i panni di fabbricazione indiana dei prodi lombardi sono torme di quei zingari che tanto piacciono a Borghezio. Però c'è il Bossi che fa un cammeo, e manco si sono curati di aggiustargli i capelli che sembrano tali e quali a quelli del tipo che pubblicizzava le matite Presbitero. Vuoi mettere.

Io, da parte mia, ho motivo di incazzarmi per aver perso due ore e passa a vedere una fetecchia malriuscita, la cui materia sarebbe risultata probabilmente un capolavoro in mano altrui. Basti pensare a quel certo film su un certo condottiero padano nato in quel di Forlì e girato da un certo regista lombardo. Il film in questione è Il mestiere delle armi, ed è la più magnifica ricostruzione che si possa immaginare della vita di Giovanni dalle Bande Nere. Ineccepibile da un punto di vista storico, dei costumi, delle ambientazioni. Sceneggiatura rigorosamente basata sulle cronache dell'epoca, eppure viva e attualissima. Girato in loco se si escludono le scene di battaglia, perfettamente coreografate e credibili senza impiego del computer: per quelle si è andati in Bulgaria, ma servivano distese coperte di neve che la Padania non può più fornire. Protagonista uno sconosciuto e giovanissimo regista (sì, regista) bulgaro, perfetto nel ruolo: Olmi riesce a far recitare credibilmente un blocco di travertino come Raz Degan, non ci si stupisca se un ignoto regista bulgaro con la sua guida offre una performance da visibilio.

Il mestiere delle armi, che ha avuto un contributo statale meritato e completamente restituito, è un film che Martinelli non riuscirebbe a fare neanche se lo sostenesse, anziché uno dei partiti al governo, Darth Vader in persona con tutta la sua claque di postnazisti in bianco. Del resto, il soggetto si presterebbe ben poco: condottiero nato a Forlì, ma al soldo dello Stato Pontificio, e perdipiù tradito dal padanissimo marchese di Mantova che ci fa la figura dell'untuoso doppiogiochista. Dio ce ne scampi e liberi.

Se però vengo a sapere che in un prossimo futuro è prevista generosa sovvenzione statale (ergo, con i soldi delle mie e vostre tasse) per qualsivoglia film di Martinelli, fosse anche un'agiografia di Alaimo da Lentini, giuro che lo vado a cercare armata di una spada laser rossa.
E saranno, assai romanamente, cavolacci suoi.

sabato 3 luglio 2010

Pasta fredda di zia Lella (per Marco DB)

Oggi l'amato bene e io avevamo un programma formidabile: sveglia al canto del gallo, doccia gelida, zaino in spalla con generi di conforto vari - 1,5 litri d'acqua, libri in lingua originale, gel antiponfi, peluche da viaggio -, e via sul trenino in direzione di Anguillara Sabazia onde, in compagnia di Dottor P, farci un giro intorno al lago di Bracciano per musei e altre amenità.

Tutto si è svolto regolarmente fino al punto relativo al trenino.

Giunti in stazione, siamo stati accolti da un tabellone i cui orari erano misteriosamente fermi alle ore 7 e rotti. Il mistero è stato risolto dopo mezz'ora secca di attesa da una voce scazzata quanto gli aspiranti vacanzieri al binario.

"Avviso ai signori viaggiatori: la circolazione dei treni è interrotta per guasto tecnico dovuto al furto dei cavi di rame sulla linea. Ci scusiamo per il disagio".

Il mio amato bene ha commentato qualcosa sul fatto che siamo proprio come la Cina, ma con il debito pubblico dello Zimbabwe. E io saggiamente l'ho trascinato via perché va bene che "incenerire con un'occhiata" è espressione metaforica, ma con il caldo che fa in questi giorni non è il caso di rischiare compagni di casa e di vita vittime di fenomeni di autocombustione non spontanea.

Fatto sta che, complice il fatto che siamo con ogni evidenza i più ricchi d'Europa nonché quelli che godono della res publica più accuratamente gestita di tutti e cinque i continenti, ce ne siamo tornati a casa con le pive nel sacco, ovvero con i succitati litro e mezzo d'acqua più peluche più parafernalia vari nello zaino.

Ciò mi obbliga a dare pedata alla pigrizia e a suggerire una pietanzella estiva a Marco DB. Il quale, come ben sa chi segue quel delizioso blog dedicato alle esperienze di due studenti Erasmus in Norvegia, è rimasto solo soletto in quel di Bergen, e ci rimarrà fino a tutto luglio. E viste le sue abitudini alimentari, non vorremmo che ritornasse in questi lidi (si spera solo temporaneamente, complici le succitate evidenze) tramutato in un blocco unico di glutammato di sodio. Pertanto se il caro Marco mi legge è sentitamente pregato di buttare nel rusco gli spaghetti liofilizzati e di munirsi di sporta della spesa: con scarsa fatica e poco impegno potrà approntarsi una pietanza tanto fresca quanto saporita, che avrà forse pure il vantaggio di mettere a cuccia l'eventuale nostalgia. Ma bando alle chiacchiere: ecco i dettami della zia Lella per fare un'eccellente pasta fredda senza l'impiego degli orripilanti condimenti già pronti, robaccia che andrebbe abolita per regio decreto.

Ingredienti (per una persona, da moltiplicare a piacimento):
un etto abbondante di pasta corta, se possibile mista il che rende il piatto più vivace e consente di eliminare i soliti rimasugli (Marco, per carità: non di grano tenero)
mezzo etto di gruviera o simili
un piccolo wurstel di pollo
un grosso pomodoro bello maturo ma sodo
qualche capperetto sotto sale
una manciata di olive verdi o nere, o entrambe
un peperoncino fresco del tipo non piccante
un mazzolino piccolo di rughetta
un paio di cucchiai d'olio d'oliva
qualche fogliolina di basilico della piantina coltivata da Giulia

Preparazione:
è il caso di mettersi in pista di primo mattino se si vuole mangiare la pietanza a pranzo, ma il mio suggerimento è muoversi con santa calma e gustarsela la sera, così ha tutto il tempo di insaporirsi come si confà.

In primis si mette l'acqua per lessare la pasta su fuocherello vivace e già addizionata di sale (non troppo, ché il condimento è già sapido di suo), così ci si porta avanti col lavoro.
Mentre essa si scalda si provvedere a fare a tocchi il pomodoro eliminando i semi e l'acqua in eccesso, a sciacquare bene (e dico bene) i capperi sotto l'acqua corrente, a spezzettare la rughetta con le manuzze sante - e non con il coltello, altrimenti si rovina -, a fare a filetti il peperone dopo averlo pulito di filamenti bianchi e semini interni e a tagliuzzare le olive dopo averle private dell'eventuale nocciolo.
Fatto ciò, si mettono gli ingredienti in una coppetta con i due cucchiai d'olio, si mescolano per bene e si lasciano lì in pace.

Nel frattempo l'acqua avrà iniziato a bollire: ci si butta dentro la pasta e mentre essa cuoce (somma attenzione perché deve essere molto al dente) si fa a dadini il cacio, che si metterà in una grossa scodella. Il wurstel prima dell'impiego andrebbe lessato per un paio di minuti in un altro pentolino, ma giacché so che non è roba da ingegnere suggerisco di saltare questo passaggio, e di affettarlo a rondelle insieme al formaggio, mettendolo nella stessa scodella.

Non appena la pasta è al dente la si toglie dal fuoco, la si scola facendo attenzione a non procurarsi facendo ciò ustioni di secondo e terzo grado (cosa in cui gli ingegneri in generale e quelli informatici in particolare mi risulta siano maestri), la si lascia fumare un minutello e quindi con gesto elegante la si butta nella scodella con cacio e wurstel, provvedendo a dare immediatamente una bella mescolata. Il calore provvederà a far fondere lievemente il formaggio rendendolo più gustoso e a lessare il wurstel quel tanto necessario a giustificare l'aver saltato il passaggio in pentolino; la mescolata, ripetuta quanto basta, impedirà che il condimento si solidifichi sul fondo in blocco unico e provvederà ad accelerare il raffreddamento del tutto (chi trova che questi passaggi siano ridondanti, ricordi che nei manuali di istruzioni è cosa meritevole non lasciare nulla al caso).

A questo punto si butta in scodella il contenuto verdurizio della ciotolina che si sarà insaporito a sufficienza (cosa buona in realtà sarebbe prepararlo il giorno prima e lasciarlo in fresco fino al momento dell'impiego, ma mi rendo conto che pensare a ciò è fin troppa seccatura per un poveretto che sta studiando indefesso), si dà ulteriore mescolata e si pone il tutto nel frigo per almeno un paio d'ore, se di più è meglio.

Quando si avvicina l'ora della pappa si caccia la scodella dal frigo, la si lascia a temperatura ambiente per una decina di minuti e si provvede al tocco finale: con le manine ben pulite si prendono le foglioline di basilico, le si spezzetta sulla pasta e con il profumino del vasenecole che solletica allegramente il naso si porta in tavola.

Con porzioni moltiplicate alla n, codesta pietanza consente di risolvere con scarsissima fatica anche l'incombenza del party di addio il giorno prima della partenza: si faranno contenti i compagni di sventura rimasti a studiare nel Fantoft, e si potrà quindi affrontare lietamente e con tutta calma il problema dei bagagli, con le valigie in cui all'andata entrava tutto e al ritorno paiono esplodere, e quello degli impegni universitari nell'Urbe che, ho saputo con somma mestizia, ricominceranno direttamente a Ciampino il giorno stesso del ritorno. Lenge leve Italia.
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