lunedì 6 luglio 2009

La maledizione dell'onigiri mannaro

Non mi ero mai cimentata nella preparazione degli onigiri. Per chi non lo sapesse, sono quelle amene polpette di riso giapponesi, ripiene o meno, in forma generalmente triangolare ma non solo, che tutti i miei coetanei hanno avuto modo di vedere nel cartone animato di turno.
Di motivi ce ne sono tanti.
Il principale è la preparazione del riso. Che deve essere di un certo tipo, lavato un tot di volte, lasciato asciugare, poi bagnato per una mezz'ora, cotto calcolando i tempi manco si stesse facendo un algoritmo, lasciato riposare, eccetera eccetera.
Tutto ciò mi è sempre sembrato una tortura da rivaleggiare con quelle dell'inquisizione. Ora che ne ho esperienza diretta, posso dire che non sembra: è vero. Se le donne occidentali sono tormentate dai tacchi a spillo, quelle nipponiche lo sono dalla preparazione del riso per le malefiche polpette e per il sushi. Non è un caso se in qualunque casa giapponese troneggia una comoda pentola elettrica che cuoce il riso nel modo corretto e con nessuna fatica. Io, ovviamente, non ne dispongo, perché spendere sulle duecento svanziche per un elettrodomestico che userei tre volte l'anno sarebbe pura follia: per cui ho seguito il procedimento classico. E alla fine dello stesso, non ero sicura se il peso che sentivo alla testa era dovuto al tasso di umidità della mia cucina, o all'aureola che mi era improvvisamente spuntata sulla nuca.
Ma non potevi evitare e fare, non so, un risottino?, mi chiederanno i saggi lettori. No, non potevo evitare. Primo, perché una sedicente nippofila come me, almeno una volta nella vita deve cimentarsi nella preparazione degli onigiri. Secondo, perché durante un certo sabato nipponico in cui, fra le altre cose, ho visitato un mercatino dove troneggiava una bancarella stracolma di accessori made in Japan, ho incautamente indicato con un gridolino entusiasta una classica formina da onigiri (di quelle che nella terra del Sol Levante vengono date con degnazione alle cuoche principianti perché si sa, l'onigiri si fa a mano) e il mio compagno di casa e di vita me ne ha gentilmente omaggiato. Terzo, perché qualche sera fa sono capitata su Just hungry, il blog di una tosta fanciulla giapponese emigrata in Svizzera che condivide online la sua notevole sapienza cucinaria e spiegava la preparazione delle polpette maledette con tale brillantezza che mi son detta, ora o mai più.
E il risultato?, mi chiederete forse voi.
Il risultato è che la prossima volta gli onigiri li ordino al ristorante sinogiapponese vicino casa, che li fa tanto buoni: costano un'enormità, ma visto che il tempo è denaro ci guadagno comunque.
La ricetta la posto in ogni caso, fosse mai che qualche lettore in vena di follie si volesse cimentare: se sapete l'inglese, consiglio caldamente le Onigiri FAQ della succitata signora nipponica, altrimenti continuate a leggere.

Ingredienti:
350 grammi (o due bicchieri) di riso giapponese (se non ne disponete, va bene pure il vialone nano o l'arborio: fondamentale che non sia un riso a chicco lungo)
200 grammi (o due bicchieri e un quarto) d'acqua
qualche foglio di alga nori (la trovate nei negozi bio o nelle drogherie molto fornite: se non ne disponete, fate senza)
tanta, ma tanta, ma tanta tanta pazienza

Preparazione:
mettete il riso in una ciotola capace che non sia di metallo e lavatelo bene sotto l'acqua corrente, compiendo un movimento rotatorio con la mano nella scodella. Vedrete che l'acqua diventa tutta bianca per l'amido: buttatela via e ripetete l'operazione. E poi ripetetela ancora. Quindi mettete tanta acqua quanta ne basta a coprire il riso, e strofinate con garbo i chicchi fra di loro per qualche minuto. Fatto ciò, risciacquate il riso: se l'acqua è diventata quasi trasparente, va bene. Altrimenti risciacquate. E risciacquate.
Quanto avrete risciacquato al punto giusto, mettete il riso in un colino a trama fitta e lasciate riposare mezz'ora.
Quindi mettetelo nella pentola con l'acqua e non accendete il fuoco: deve restare lì a bagno almeno mezz'ora, se è un'ora è meglio. Ciò perché il riso giapponese che si trova in Italia è in genere non freschissimo, quindi più lo si lascia a bagno e meglio si cuocerà.
A questo punto arriva l'ordalia della cottura.
E' assolutamente necessario un coperchio che si adatti perfettamente alla pentola (se di vetro è meglio, almeno potete dare una controllata al work in progress), la quale deve avere un fondo ben spesso o viene pregiudicato il risultato.
Accendete il fuoco e con la pentola scoperta portate l'acqua all'ebollizione. Coprite e lasciate bollire con il fuoco al massimo per un minuto. Quindi, mettete a fuoco medio e lasciate bollire per quattro o cinque minuti. Poi mettete il fuoco al minimo, e fate cuocere per una decina di minuti. Non sollevate mai il coperchio durante la cottura, pena la rovina completa del risultato, lo spregio di tutte le generazioni dei cuochi giapponesi e, suppongo, fenomeni di combustione causa occhiataccia di Amaterasu in persona.
Passati i dieci minuti, mettete a fiamma altissima per cinque secondi netti onde assorbire eventuali rimasugli di umidità, e spegnete il fuoco.
Adesso si può scoperchiare?, chiederete voi.
Illusi.
Il coperchio va via, ma sulla pentola va messo un bel panno spesso per un quarto d'ora, in modo che il riso continui a crogiolarsi nel vapore. Solo dopo sarà pronto per essere usato. Ma già ora voi sarete in condizioni mentali tali da voler azzannare chiunque vi capiti vicino. Pertanto, se volete bene a chi abita con voi, banditelo dalla cucina. Oppure lasciatevi prendere dallo sconforto e scoppiate in un pianto dirotto sulla sua spalla. Se gli raccontate cosa avete fatto fino a quel momento, sarà più che lieto di offrirvi supporto e comprensione.
A questo punto potete passare alla preparazione degli onigiri.
Il ripieno, per inciso, può non esserci. L'onigiri può essere una semplice polpetta di riso su cui si sparge un po' di sale e si mette la classica alga nori. Ma questo vale se il riso è fresco di raccolta, e quindi buono e profumato come si confà. Qui nello Stivale non c'è una chance che sia una di trovarne. Ne consegue che la farcitura non è un optional.
Il classico ripieno nipponico prevede in genere o il temibile umeboshi (prugna giapponese in salamoia: chi ama i cartoni, ne ricorderà i terrificanti effetti su Lamù), oppure del salmone sotto sale grigliato. L'umeboshi si può trovare nei negozi bio, ma a me non fa impazzire. E il salmone sottointende una giornata minimo di preparazione, perché va messo sotto sale in frigo per ventiquattr'ore, lavato e cotto. Mi ci cimenterò un'altra volta: in questo caso ho ripiegato su una bella scatoletta di tonno al naturale cui ho aggiunto dell'erba pepe e del basilico tritati (combinazione che è nipponica come può esserlo un ragù fatto con licheni groenlandesi e macinato di zebù, ma come disse un certo tipo coi baffetti, francamente me ne infischio).
Grazie al cielo avevo le malefiche formine. Seguendo le istruzioni le ho bagnate leggermente. Poi le ho spruzzate con un po' di sale. Ho scosso il sale in eccesso. Con il cucchiaio di legno, le ho riempite di riso a metà. Nel centro, ho fatto un buchetto con il pollice. Ho riempito quindi detto buchetto con un cucchiaino di ripieno. Per inciso, mi scuso per la foto sfocata che illustra questo fondamentale passaggio: ma ero un pochino fuori dalla grazia celeste e la mia già scarsa abilità con la digitale ne ha ulteriormente risentito.
Fatto questo ho messo altre due cucchiatate di riso, e ho premuto con l'apposito compattatore. Il risultato è stata la classicissima polpetta triangolare in duplice copia, giacché la formina è doppia (e in franchezza ho rimpianto che non fosse quadrupla o ancor di più). Su ciascuna polpetta ho quindi messo un foglietto di alga nori.
Visto che c'ero, ho anche voluto provare l'ebbrezza di un onigiri fatto a mano, vanto della mamma giapponese che, tutte le sante mattine in cui c'è scuola, deve fare il bento (cestino della colazione) al suo piccino mostrando tutta la sua abilità. La banale polpetta è esclusa: onde non essere tacciata di pigrizia e scarso senso materno, deve realizzare con gli ingredienti creazioni mostruose a forma di pecora o di alce, di castello della bella addormentata, di veicolo dei pompieri, di personaggio dei fumetti, e guai se sono meno che perfette. E' una cosa che ho sempre odiato, e che ben denota il tasso di misoginia della società nipponica. Ma visto che non sono una mamma giapponese con tutto ciò che questo comporta, mi sono voluta cimentare. Il risultato è quello che potete vedere in cima al post, un micino con le vibrisse un po' storte che ho ottenuto tagliando l'alga nori con le forbici da cucina.
Facendolo ho avuto una botta di nostalgia, come mio consueto.
L'alga nori che ho in dispensa è un regalo di Yuki, amica giapponese del mio amato bene. E' rimasta per due o tre anni in Italia a studiare restauro, ha cercato anche lavoro, ma dopo un paio di esperienze poco gradevoli ha pensato che tutto sommato valeva la pena di tornare a casa. L'abbiamo vista l'ultima volta a Firenze poco prima che andasse via, passando con lei un paio di giorni. E durante una conversazione io me ne sono uscita che, mamma mia, se mi piacevano gli onigiri.
La sera della nostra partenza per la Grande Città, proprio mentre stavamo con un piede sul predellino del treno, l'abbiamo vista arrivare di corsa. Trafelata, ci ha consegnato due bustine, una con Snoopy, l'altra con Woodstock. Dentro ogni bustina c'erano due onigiri, fatti da lei. Classici, con il salmone salato e grigliato. E qualche pezzo di alga nori ancora in busta. L'alga nori è buona quando non è troppo bagnata, ci ha spiegato: per cui, se vedete che quella degli onigiri non è più così croccante, la potete sostituire con quella in bustina.
Arrivati a casa, abbiamo mangiato i suoi onigiri. L'alga era rimasta croccante, per cui quelle in busta sono rimaste gelosamente conservate in dispensa, finché non le ho impiegate in questa occasione. E mi è sembrato quasi uno spreco, visto che i miei onigiri sono cosa ben misera rispetto ai suoi. Ma penso che Yuki se fosse qui avrebbe apprezzato lo sforzo. E probabilmente, con garbo silenzioso, mi avrebbe mostrato come fare degli onigiri perfetti.
Spero che prima o poi ciò possa accadere. Per intanto, nonostante le mie meste polpette siano state assai gradite dal mio compagno di casa e di vita, direi che continuerò a fornirmi con somma gioia dal citato ristorante sinogiapponese.
Mata ne, Yuki-san.

5 commenti:

  1. Tu lo sai che li adoro, comunque vengano...YUMMMMMMM!!!

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  2. Lo so :)
    Non appena sarà possibile (non prima di un mesetto, temo, causa tutta una serie di mestissimi e fastidiosi motivi) organizzeremo una bella cena dove te li proporrò con il classico ripieno al salmone grigliato - perché mi cimenterò con il salmone grigliato, altroché. E' la versione secondo me più appetitosa e alla bontà associa ulteriori vantaggi: a quanto mi dicono le mie dotte cugine con prole, infatti, sia il riso che il pesce fanno venire tanto latte :)

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  3. :-)
    madonna, salivo come un cane di Pavlov al solo pensiero...

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  4. Io il riso per il sushi (e preparazioni giapponesi in generale) lo preparo con la pentola a pressione, viene perfetto. Metto 300 gr. di riso ben lavato con 600 gr. di acqua nella pentola a pressione, faccio cuocere a fuoco moderato 7 minuti dall'inizio del fischio della valvola, poi spengo e lascio riposare senza toccare niente altri 1 min. Quando apro il coperchio il riso ha assorbito perfettamente l'acqua e si stacca dalla pentola come dalla risiera. ;)

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  5. Mi stai dicendo, in sostanza, che mi son fatta venire una crisi isterica quando non ve ne era alcun motivo??
    Epic fail. Con tutti i crismi.
    La prossima volta seguirò con grande allegrezza il tuo consiglio: il mio amato bene è lunga pezza che fa il musetto da cucciolo ferito indicando le formine da onigiri. Stai a vedere che riesco a rendere felice lui, e pure me... Grazie in anticipo!

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