Questo è un piatto che garba molto al mio amato bene, e che si presta ottimamente per cene anche con molti ospiti sia in inverno che in estate: basta presentarlo caldo o freddo a seconda delle esigenze, e il gioco è fatto. Ha pure il vantaggio che se ne possono preparare grandi quantità da surgelare prima della cottura, sicché vi basterà ricordarvi di trasferire il tot che vi serve dal freezer al frigo la mattina per poter approntare la cena in cinque minuti una volta tornati a casa. Lo svantaggio arriva al momento di lavare piatti e tegami, ma tratterò questo aspetto in chiusura.
La ricetta, come si potrà dedurre dagli ingredienti, è indiana. Ed è buona non solo perché è piccante senza essere piccante, ma perché la carne grazie alla marinatura resta tenerissima. Come che sia, da quando l'ho testata la prima volta è diventata uno dei cavalli di battaglia del mio repertorio, e la consiglio a chiunque voglia accontentare con poca fatica e poca spesa di tempo e danaro commensali che amino sapori decisi ma non troppo, o che portino la dentiera.
Ingredienti per due persone:
300 grammi circa di petto di pollo a fette spesse circa 2 centimetri
uno spicchio d'aglio privato del germoglio
30 grammi di salsa di soya (ovvero cinque cucchiai colmi)
un pezzo di zenzero fresco grande quanto un pollice (e se vi piace, abbondate pure: male non fa)
una punta di cucchiaino di cannella
altrettanto di noce moscata
Preparazione:
ripulite il petto di pollo da scarti, filamenti, grasso e quant'altro (che metterete da parte in una bustina per il cane o il micio, o per i gatti che sicuramente popolano il vostro quartiere) e tagliatelo in pezzetti piccoli più o meno come la falange del pollice e il più possibile regolari, che metterete in una ciotola.
Sul pollo mettete quindi in successione: l'aglio tritato (usate lo spremiaglio o la comune grattugia per ridurlo in crema), lo zenzero che avrete prima sbucciato e poi grattugiato impiegando i forellini più piccoli della già citata grattugia, la cannella e la noce moscata, e la salsa di soya. Mescolate il tutto a lungo con un cucchiaio, in modo che il pollo si insaporisca per benino.
Coprite la scodella con un piatto e mettete il tutto in frigo per almeno tre ore. Badate che il piatto chiuda bene la scodella, o vi ritroverete il frigo che emana aromi a metà fra la bottega di un profumiere e la peggior tavola calda di Calcutta.
A questo punto, se non dovete impiegarlo entro qualche ora potete pure metterlo in apposita bustina per alimenti e porlo nel freezer (possibilmente in una scatola di plastica ben chiusa, sennò c'è il rischio che il vostro congelatore assuma l'ameno aroma già descritto). Altrimenti, prendete una bella padella antiaderente e versatecelo dentro. Non fatevi impressionare dall'aspetto poco invitante del pollo marinato: la cottura lo trasformerà.
Non occorre olio né alcun altro tipo di grasso: solo del fuoco molto, molto vivace, e per cinque minuti scarsi, quanto basti perché la carne, che in realtà si è già cotta grazie alla salsa di soya e ai vari aromi, si colori.
Avvenuto ciò, potete travasare il pollo nel piatto di portata, e aspettare che si freddi se la cena è estiva, sennò va benissimo a temperatura di padella.
Per accompagnarlo, sono ottime le verdure più diverse (è un'eccellente occasione per liberarvi dei contorni che sono rimasti a immestirsi nel frigo) o una semplice insalatina, e del riso parboiled che avrete fatto cuocere in pentola coperta con circa il doppio della quantità d'acqua rispetto al riso e che potete condire con un filo di salsa di soya.
La pietanza darà a voi e ai commensali grande soddisfazione. I problemi verranno dopo, al momento di affrontare i piatti e soprattutto la padella.
Se non avete tempo di lavarla subito dopo aver completato la cottura perché dovete portare subito in tavola, immergetela in un catino d'acqua bollente addizionata con detersivo e succo di limone.
Se dovete correre e non ne avete nemmeno il tempo di fare ciò, al momento di lavare i piatti munitevi di guanti da elettricista, scalpello e molletta da bucato per il naso.
Ne avrete bisogno.
Ma ne vale la pena.
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