mercoledì 15 luglio 2009

L'anello forte

Ieri non ho postato. Chi segue faccenduole relative a un certo DDL di un certo ministro intuirà il perché. Ma questo è un blog di cucina e non di politica, per cui troverà dettagliate notizie altrove.
Anche in un blog di cucina ci sono momenti in cui di cucina non si ha voglia di parlare. Nel mio caso, è dovuto a ciò che è successo ieri a qualche migliaio di chilometri dallo Stivale, e che ha coinvolto un ragazzino originario di un paese a pochi chilometri dal mio. Le cariche istituzionali ci stanno ricamando. Io mi sono arrabbiata, oltre che intristita. E mi sono venute diverse riflessioni, sicuramente parecchio ovvie. Una di queste, magari non la più importante nel contesto, ma importante per me, è la divisione dei ruoli. Per secoli gli uomini hanno fatto la guerra, le donne sono rimaste a combattere a casa. Le donne, quelle che sono considerate l'anello debole della catena. Quelle che nove volte su dieci non lasciano alcuna traccia nelle vicende della Storia.
C'è un bel libro di Nuto Revelli che ribalta questo punto di vista. Si chiama, non casualmente, L'anello forte. E' costituito da una serie di interviste a contadine delle montagne piemontesi. Non hanno scritto la Storia, e però durante guerre e carestie mandavano avanti la famiglia andando a pascolare le mucche sugli alpeggi, migrando all'estero per raccogliere la frutta, o addirittura vendendo i propri capelli ai fabbricanti di parrucche per racimolare qualche soldo che permettesse di mettere la cena in tavola.
Lo devo rileggere. E' una di quelle letture che fanno bene. E intanto, benché questo sia un blog di una cuoca a tempo perso e non di uno scrittore di professione, voglio ricordare alcune donne che, come le contadine di Revelli, non scrivono la Storia. Non ne so neppure il nome: le ho incontrate di sfuggita e ci ho chiacchierato durante un evento minutissimo quale è fare la spesa. E così sono venuta a conoscere, o a intuire, le loro piccole guerre personali per vivere. Che non sono considerate importanti nello scacchiere delle grandi vicende umane. Ma non voglio che siano dimenticate, o quantomeno non voglio dimenticarle io. Quindi ne scrivo qui.
Al mercato, verso la fine del nastro di bancarelle che si snoda sulla stradina vicino casa mia, si può sempre trovare una donna molto anziana. E' bruciata dal sole in qualunque stagione, e ha i capelli completamente bianchi. Sorride sempre. Non ha neppure una bancarella: solo un paio di cassette dove vende cose che non si trovano altrove. Collane di peperoncini secchi, mazzi di alloro, sacchetti di origano confezionati a mano, quando è stagione aneto e verdure di campo come la borragine, e le uova delle sue galline. Si vede che è una persona che ha lavorato una vita, e continua a farlo.
Quando l'ho vista la prima volta ho avuto una stretta al cuore. Perché una donna che ha superato gli ottant'anni continua a lavorare? Ho atteso che una signora, una bella signora anziana distinta con gli occhiali scuri, pagasse le uova alla vecchina e si allontanasse un po'. Poi l'ho fermata, e le ho chiesto se sapesse perché quella donna così anziana vendesse quelle povere cose. La signora era sospettosa. "Perché me lo chiede?", ha domandato. Perché è anziana, perché non dovrebbe star qui a lavorare con questo caldo, perché mi ricorda mia nonna, ho risposto, e mi sono accorta che ero commossa. La signora ha sorriso. "Non si preoccupi. E' forte, è qui quasi tutti i giorni, e se la cava benissimo: tutti qui sappiamo che ha cose che non ha nessun altro, e le comperiamo da lei. E stia tranquilla. Un modo per campare lo si trova comunque. Io ad esempio sono quasi cieca, mio marito è a casa malato, agli sgoccioli, tutte le volte che esco non so nemmeno se lo troverò vivo. I miei figli me li sono ritrovati in casa tutti e due di recente, perché i loro matrimoni sono falliti. Di problemi ce ne sono sempre. Però si tira avanti."
Già. Si tira avanti.
Un concetto simile l'ha espresso anche un'altra signora, anche lei molto anziana. Piccola, compatta, con i capelli grigi ricci, ha rivelato di aver superato l'ottantina. In fila alla cassa del supermercato, abbiamo iniziato a parlare di cucina. Le ho chiesto di dove fosse. "Si sente che ho l'accento, eh. Sono della Basilicata, mi sono trasferita a Roma tanti anni fa. Ma l'accento mi è rimasto perché sono sempre stata in casa, non ho mai lavorato fuori. Lo stipendio lo portava mio marito che faceva il militare. Ma è morto molto giovane. Così sono rimasta da sola con tre figli piccoli e la pensione che non bastava."
E come ha fatto a tirare su tre figli da sola, le ho chiesto.
"Lavando i panni. Una fatica. Li andavo a stendere sul terrazzo del palazzo. Non c'era l'ascensore, e io dovevo portare con me il figlio più piccolo. Quindi salivo le scale con la mastella dei panni e mio figlio nel seggiolone. Le lenzuola, le camicie. C'erano sempre camicie da stirare. Anche quelle dei miei figli, quando sono cresciuti. Ancora me le sogno la notte. Però sono arrivata a ottant'anni. E come vede, sono qui."
Sono storie piccole, non Storia.
Ma credo contino più della Storia.
La Storia che si è fagocitata il ragazzino.
Ho letto sui giornali un commento che aveva lasciato su quel famoso social network. "La guerra è uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pure farla."
Non commento. Non ne ho la forza né la voglia. Ci penseranno le istituzioni a spargere fiumi di parole. Hanno già iniziato.
Mi viene in mente un altro ragazzino morto in guerra. Era il fratello della mia nonna paterna. Partito volontario poco più che ventenne, certamente a causa della propaganda con cui il Regno rimbambiva chiunque fin dall'età scolare. Dai ricordi dei parenti sembra fosse molto intelligente e pieno di curiosità. Aveva imparato il russo da solo, cosa non da poco nell'Italietta d'inizio Novecento, e ancora più in un paese del Sannio. Forse sarebbe diventato uno slavista. Ma non è dato saperlo: è diventato un eroe di guerra.
Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli, e non solo a lui, che le guerre vere si fanno altrove, non sui campi di battaglia.
Questo qualcuno latita, o gli impediscono di parlare. Così la Storia si ripete.
Si ripete anche perché gli esseri umani hanno scarsa memoria. Quindi è importante ricordare.
Ricordare serve sempre. Anche a non sentirsi soli.
Quando mi trovo in difficoltà, io potrò sempre pensare a guerre lunghissime combattute, e vinte, con una mastella di panni o un mazzetto d'alloro.
E sarò fiera di essere parte dell'anello forte.

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