sabato 11 luglio 2009

Il fiuto di Sherlock Holmes

Putacaso non si fosse ancora capito da alcuni precedenti post, sono una discreta appassionata di cartoni. E come molti dei miei coetanei, lo sono di ritorno. Ovvero, dopo robuste dosi di robottoni più o meno componibili, androidi in lotta contro altri androidi che sembravano una parata di gerarchi nazifascisti, viaggi nello spazio alla caccia di Iskandar e pallavoliste masochiste che si massacravano in allenamenti tali da far sembrare West Point una succursale della bocciofila di quartiere, intorno ai dieci anni è arrivato il momento di passare ad altro. Salvo poi, raggiunta l'età in cui le nostre madri avevano già figli in età scolare, riscoprirsi incollati alla tivù tutte le sere in cui qualche rete locale mandava le repliche di Goldrake, e di lì in poi procurarsi tutti, e dico tutti i cartoni visti quando a malapena si stavano imparando le tabelline.
Il fiuto di Sherlock Holmes (in originale Meitantei Houmuzu) è stata l'eccezione che conferma la regola. E' andata in onda alla fine del 1984, quando la sottoscritta a scuola aveva iniziato a penare sulle follie dell'analisi logica e, nel campo del cosiddetto entertainment, stava facendo le prime timide incursioni nei film di Coppola e Scorsese (non fate gli occhiacci: succede, quando si ha una mamma cinefila come la mia). Nondimeno, ogni volta che veniva trasmessa io facevo in modo di trovarmi davanti al televisore. Le trame, i disegni, le ambientazioni: tutto era straordinario, e valeva ben la pena di prendersi gli sfottò dei compagni per il fatto che vedessi "roba da bambocci".
La roba da bambocci, per inciso, aveva la firma di un certo Hayao Miyazaki.
Ed era coprodotta dalla Rai, che contattò la casa di produzione per la quale Miyazaki lavorava nel 1981 onde studiare una serie da realizzare in tandem.
Voi mi direte: cosa c'entra il dinosauro di Viale Mazzini con il creatore di gioielli dell'animazione nipponica come Totoro e La città incantata? E com'è che mamma Rai, che nel campo dell'animazione certo non si distingueva, ebbe siffatta intuizione?
Due ipotesi.
La prima, che è benevola, suppone che all'epoca in Rai ci fosse ancora qualcuno dotato di intelligenza e curiosità sufficiente a notare l'incredibile qualità di serie come Conan, ragazzo del futuro o del Castello di Cagliostro, il più bel lungometraggio a cartoni con protagonista Lupin III.
La seconda, che è la più probabile, è che i solerti funzionari volessero capitalizzare sull'incredibile successo di Heidi (firmato da Isao Takahata ma con l'apporto fondamentale di Miyazaki per le scenografie) e sperassero in un prodotto di altrettanto successo. Il personaggio scelto per il cartone era il detective più universalmente noto, ma in versione canina per avere più appeal. I partner nipponici e quel ragazzino sui trent'anni avevano messo sul mercato serie che avevano fatto sognare milioni di ragazzini italiani e vendere vagonate di merchandising. Una pensata geniale, no?
No.
Uno, perché ci si dimenticò di parlare di diritti con gli eredi di Sir Conan Doyle, i quali si risentirono parecchio. E infatti la produzione della serie, partita l'anno stesso dei contatti, si arenò miseramente dopo solo quattro episodi realizzati fino a quando non arrivò il placet.
Due, perché Miyazaki fece le cose a modo suo. E alla Rai prese un colpo.
Il giovincello trentenne aveva infatti le idee parecchio chiare. I personaggi non erano ben definiti: il character design faceva pena. Giù a ridisegnarli, e a ridisegnarli ancora. Ed erano banali. E poi, l'imprecisione. Le cronache di chi c'era (uno su tutti Marco Pagot, di cui Miyazaki dovette conservare un buon ricordo, se chiamò il protagonista del film Porco Rosso con il suo nome) riportano domande su domande, osservazioni su osservazioni. Sì, sono cani, ma lo sono del tutto o sono antropomorfi? Se una scena esigesse che si facciano il bagno si vedrà o no la coda? E i piedi, sono zampe o no? E Mrs. Hudson, perché non rendere lei la protagonista? Ah, non può esserlo? Ma allora perché dovrebbe essere una vecchia? E in che senso questo è un cartone per bambini e certe cose della personalità di Sherlock Holmes non si posso mostrare?
Eccetera eccetera.
Lo straordinario lavoro preparatorio di Miyazaki si può ammirare nei suoi acquerelli, pubblicati su un bel sito francese dedicato alla serie. Ma la Rai non apprezzò. Anzi, ebbe parecchio da ridire.
Ebbe ancora più da ridire sul budget. La meticolosità per i dettagli di Miyazaki è nota (e nella serie si può apprezzare anche in una piccola scena come quella qui sopra: le cartacce sulla strada, le assi che chiudono una finestra rotta, la donnina con borsetta e cappellino in lontananza). La fluidità dell'animazione ha il suo prezzo. I costi schizzarono molto, molto in alto. E insieme a loro, l'insoddisfazione generale.
Tutto si risolse più o meno elegantemente nel 1984. La faccenda con gli eredi di Doyle si era appianata, ma nel frattempo Miyazaki era sbarcato altrove ed era impegnato nella realizzazione di Nausicaä nella valle del vento, il film che lo renderà famoso. Al cinema, l'eroina volante viene accompagnata dalla proiezione di due episodi di Meitantei Houmuzu. Il successo è grande, e la casa produttrice (con la Rai pronta a risaltare a bordo del carro vincitore) rimette le mani alla serie: Miyazaki non è più interessato, ma il lavoro è già pronto, ci sono gli storyboard di tutte le puntate, e lo staff è quello che ha lavorato con lui e in modo eccellente. La produzione riparte, e viene completata. La Rai prende e porta a casa. Per inciso, si è dimenticata di pagare Miyazaki, e lo farà solo in parte e dopo parecchio tempo. Ma sono quisquilie: il prodotto è a Viale Mazzini, bisogna solo metterlo nel palinsesto.
E ovviamente, lo si fa nel modo migliore.
Ovvero, tagliando le puntate in spezzoni da cinque minuti l'una, e trasmettendo detti spezzoni in un "contenitore per ragazzi" che va in onda dal lunedì al venerdì.
E ci si stupisce se la serie è un flop, maledicendo tutti quei soldi buttati al vento e quel matto presuntuoso di giapponese che però, va riconosciuto, è tanto bravo e fa delle cose splendide. Così splendide che la Rai provvede pure a fare un doppiaggio non autorizzato di Nausicaä e a mandarlo in onda, parimenti senza autorizzazione, nel 1984. E giacché, per citare un noto pezzo di Elio, Miyazaki "è bravo e buono e tutto, ma quando si arrabbia, sono dolori", a causa di ciò nessun suo film uscirà in Italia fino a quando la Disney non acquisirà i diritti di distribuzione delle opere dello Studio Ghibli, nel frattempo fondato da Miyazaki e Takahata, perché terrorizzata dall'eventualità che Principessa Mononoke seghi le gambe al suo Mulan sul mercato asiatico causa uscita contemporanea.
Ma questa è un'altra storia.
Nonostante la programmazione delirante, Il fiuto di Sherlock Holmes cattura l'attenzione di diversi spettatori. E i motivi ci sono tutti. Le trame, a parte qualche momento di stanchezza, sono ricche di spunti geniali. La qualità dell'animazione è superba negli episodi diretti da Miyazaki, e si mantiene su livelli di eccellenza anche negli altri. Ci sono tanti dei temi cari al regista, dall'ossessione per il volo (aerei, idrovolanti, persino aquiloni sono parte integrante degli episodi) a quella per la tecnologia, dalle frecciatine all'autorità costituita e alla classe alta (la polizia incapace e sconclusionata, i ricchi avidi e truffaldini) ai personaggi femminili che, lungi dall'essere sullo sfondo, hanno ruoli di primo piano. Mrs. Hudson non è protagonista come Miyazaki avrebbe voluto, ma non è la vecchietta alle prese con manicaretti e camicie da inamidare che la Rai si sarebbe aspettata: cucina e stira alla perfezione, ma guida con disinvoltura i più diversi veicoli e spara meglio di un pistolero. Anche in corsa.
In una trama ben riuscita non può ovviamente mancare un cattivo, e che sia un cattivo di qualità: nello specifico il professor Moriarty, che in un mondo di cani non può che essere un lupo, perennemente impegnato a studiare perfidi piani che prevedono le trovate più geniali e improbabili (il ladro per eccellenza Lupin III, la cui prima serie fu diretta proprio da Miyazaki e cui Moriarty molto deve, è appetto a lui un dilettante privo di idee) insieme ai suoi improbabili aiutanti, Smiley e Todd. Perfido, sottile, non privo di rare ma paurose sbandate sentimentaliste, si aggira su un velocipede in cilindro e mantello bianco, alternando modi da gentiluomo mitteleuropeo a temibili quanto creative minacce. E proprio il suo personaggio esprime al meglio l'unico contributo davvero degno della produzione italiana: l'adattamento e il doppiaggio.
Grazie al compagno di casa e di vita che ha - ovviamente - la serie in lingua originale, ho potuto vederla. E posso assicurare che non c'è storia, per invenzioni linguistiche e intepretazione.
Al sobrio protagonista si affiancano, dando il meglio di sé, i comprimari. Il dottor Watson esprime il suo aplomb inglese con uniforme tono nasale nelle situazioni più improbabili ("Holmes, a causa delle foglie di questo banano britannico non vedo un cappero!"). Al goffo ispettore Lestrade presta la voce il compianto Enzo Consolo, amatissimo doppiatore dell'ispettore Zenigata e scelta quanto mai felice. Ma la palma va a Moriarty, al profèssor Moriarty doppiato in modo sublime da Mauro Bosco, che parlando in un devastante accento torinese dà ancora più effetto a espressioni quali "il gatto tonto e la volpe siéma" (così vengono gratificati i suoi assistenti), "quel rompicrimini maledètto, fetentissimo inglese!" (ovviamente riferito alla sua nemesi), "il grasso dottore di pidocchi della perfida Albione" (con vittima il dottor Watson), "taci, San Tommaso da quattro gallette!" (al povero Todd che metteva in dubbio la riuscita di un piano durante una pausa a base, of course, di tè e biscotti), "porca mènta!" e tante altre che son troppe per essere elencate. Gustosissima poi la scelta di piccoli svolazzi musicali, del tutto assenti nell'originale ma assai riusciti: "Oh mia bella Giocondin dal sorriso molto incerto" (sulle note de La bella Gigogin ), "Addio mia bella addio, il profèssor se ne va", "Solo me ne vo nella tempesta, e non odo augelli far festa", e via cantando. Quello che i giapponesi han messo di disegni, animazione e scenografia, gli italici han messo con la voce, e il risultato è un capolavoro di umorismo e finezza.
In sintesi, Il fiuto di Sherlock Holmes aveva tutti gli elementi per essere un grande successo.
La Rai ha fatto in modo che così non fosse.
Pertanto, alla Rai sono matti.
Non che ce ne volesse una riprova. E del resto non sono la sola a pensarlo. Sospetto che lo pensasse anche Miyazaki, almeno a giudicare da un fotogramma che appare in uno degli episodi da lui diretti, La piccola cliente. Tocco di finesse, lo si trova nel quadrante di controllo di una pressa che è in procinto di saltare per aria.
Mi si dirà che è casuale.
Trattandosi di Miyazaki, direi di no.
E come sintesi per la vicenda produttiva della serie, non potrebbe essere migliore.

2 commenti:

  1. ciao. da piccolo ne ero ossessionato, e leggendo le tue citazioni di moriarty mi sono commosso. quando la hudson gli prepara il pasticcio di rognoncini... ;D
    grazie del post.
    ciao!!!

    les uppercutt

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  2. Che vergogna vergognissima... Ho visto e pubblicato il tuo commento solo ora... Devo decisamente smetterla di trascurare questo benedetto blog! Grazie mille, e scusami ancora. Molti saluti a orecchie basse...

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