giovedì 10 dicembre 2009

Culurgiones della Cancelliera

"Non mi sono venuti bene. I suoi erano tanto più buoni."
Non è vero Pi, ti sono venuti benissimo. E' semplicemente che la Cancelliera magari ha qualche decennio di esperienza in più, nel fare i culurgiones. Ma i tuoi sono buoni. E lo so perché io e il mio amato bene li abbiamo mangiati, condendoli con la conserva di pomodoro che zia Maria e zia Margherita hanno fatto questa estate, e di cui ho impiegato l'ultimo barattolino rimasto in dispensa. C'era l'etichetta che zia Margherita aveva incollato. "Salsa condita", a indicare che al sugo era stato aggiunto un pochino di sedano e una foglia di basilico. Ho conservato il barattolo.
La Cancelliera in realtà si chiama Lucia, ma in paese, dove è arrivata giovanissima dalla Sardegna, è nota così perché suo marito era il cancelliere del tribunale. E' una donna gentile, e aveva portato i suoi culurgiones alle zie a metà ottobre, perché li assaggiassero. Il giorno del funerale, un paio d'ore dopo la funzione, ha bussato alla porta recando un vassoio di dolci appena fatti, "così avete qualcosa da mangiare". Le abbiamo detto che zia Margherita ci aveva parlato al telefono dei suoi culurgiones, di quanto li aveva mangiati volentieri, e questo l'ha resa felice.
Le abbiamo chiesto la ricetta, e la riporto come lei l'ha riferita.

"Siete in due? Allora servono tre patate di grandezza media. Le fai bollire e le schiacci. Mentre cuociono, metti in una padella una bella cipolla fresca tritata con un bel po' d'olio, e la fai stufare con il coperchio. Quindi schiacci le patate e aggiungi la cipolla con l'olio, un po' di noce moscata, un uovo e un bel pugno di parmigiano. Mescoli tutto e fai riposare.
Quindi si fa la sfoglia, bella sottile. Le dosi? Tesoro, non le so... Fai a occhio! Calcoli un uovo per uno e vedi quanto prende di farina. Quando hai steso la sfoglia, metti i mucchietti di ripieno, e poi copri con altra sfoglia. No, io non chiudo con il classico sistema a pizzico, uso il tagliapasta facendoli come i ravioli, che è tanto più veloce e comodo. Poi li butti nell'acqua bollente, e quando vengono a galla li scoli con la schiumarola e li condisci con un sughetto di pomodoro e un po' di parmigiano."

Mia sorella li ha fatti il giorno dopo il nostro ritorno a Roma, e me li ha portati ancora da cuocere in un vassoio coperto da un panno. Un dettaglio, questo, che per qualche motivo mi ha fatto una gran tenerezza. Forse mi ricorda qualcosa dell'infanzia. Ma la memoria in quest'ultimo periodo mi fa scherzi strani e mi impedisce di situare le cose, per cui non lo so con certezza.
Sapevano di farina e di buono.
Si sono cotti in pochi minuti, e dopo averli conditi li ho mangiati assieme al mio compagno.
E' stato un modo per sentire la zia ancora vicino.
Piano piano, scopro che di modi ce ne sono diversi. Mi aggrappo a ciascuno di essi.
Non so se conoscete un bel film uscito qualche anno fa. Si chiama Daddy Nostalgie, lo ha diretto Bertrand Tavernier. E' la storia di una donna e del suo papà, che soffre di una malattia incurabile. Li interpretano rispettivamente Jane Birkin e Dirk Bogarde, e lo fanno in maniera splendida. Nonostante il tema, non è un film triste.
La voce narrante alla fine del film racconta che quando il padre scompare, la donna apre le finestre della casa. La madre le chiede che senso abbia aprire le finestre, a che cosa possa servire. Lei le dà un risposta che trovo bellissima.
"A far finta di vivere, in attesa che ce ne torni la voglia".

4 commenti:

  1. bentornata! è sempre un piacere leggerti!

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  2. non si possono chiudere con il tagliapasta!!! non sono più culurgiones, ma semplici ravioli. Anche l'occhio vuole la sua parte.... E' come se facessi tortellini a forma di raviolo..

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  3. Siamo d'accordo: anche l'occhio vuole la sua parte, e i culurgiones vanno chiusi come si confà. Ma giacché la Cancelliera ha passato l'esistenza a badare a prole, faccende casalinghe e non e adesso alla prole della prole con ritmi che invocano un giorno di quarantotto ore che' ventiquattro non bastano mai, direi che ha il santo diritto di mandare l'estetica a remengo.

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