mercoledì 20 gennaio 2010

Polpette al sugo

Questo è uno dei miei piatti preferiti. Ovvero, è fra i miei preferiti se fatto seguendo i dettami delle mie vecchierelle. Di polpette al sugo ne ho mangiate a iosa, ma quelle che caratterizzano la cucina dell'Urbe sono secondo me toste e pesanti come il proverbiale sampietrino. Una polpetta come cucina comanda deve infatti essere della giusta consistenza, sciogliersi in bocca ma con lentezza, avere il giusto equilibrio nell'impiego dell'aglio: né insapore, né aromatizzata da far sì che l'alito faccia concorrenza a quello dell'abitante medio delle due Coree, ove l'impiego della bulbacea in cucina è un articolo di fede.
Con quelle romane ci si può, a seconda dei casi, giocare a bocce o stendere un esercito di moscerini: il che può fare comodo in occasione di tornei interparrocchiali o di un'escursione nelle valli di Comacchio, ma non quando si è a tavola. Per cui vi propongo la versione sannita, con la garanzia che potrete mangiarne a sazietà anche a sera senza il rischio che, una volta andati a ninna, il vostro partner sospetti di avere nel letto il Caro Leader, o voi sogniate di essere uno stupido milanese bersaglio di polpette infuocate.

Ingredienti:
300 grammi o giù di lì di carne di manzo o di vitello
100 grammi di mollica di pane semiraffermo sminuzzata
un uovo
un pugno di grana o parmigiano grattugiato
uno spicchio d'aglio
una manciata di prezzemolo
farina 00 quanto basta
un po' d'olio per friggere
un barattolo da mezzo chilo di conserva di pomodori, meglio se casalinga

Preparazione:
per prima cosa tritate bene le foglie di prezzemolo e tagliate l'aglio dopo aver tolto il germoglio a fettine sottili, e che siano davvero sottili: non che dobbiate usare il metodo impiegato da Paul Sorvino in Quei bravi ragazzi (non lo avete visto? Siete banditi da questo blog!), ma che vi sia d'esempio. Più è sottile, più eviterete l'effetto metropolitana di Seul.
In una zuppiera capace mettete quindi la carne tritata, l'uovo intero, il pugno di formaggio, il prezzemolo e l'aglio e impastate con le manine sante bene e a lungo: la consistenza dell'impasto deve essere alla fine liscia e setosa, senza che vi si distinguano più i vari ingredienti. Fatto ciò, siete già a mezza strada sulla via di una polpetta ben riuscita.
Ungete quindi le succitate manine sante con un po' d'olio, prendete un tot di impasto alla volta, ricavatene tante sfere di grandezza equivalente a un'albicocca o giù di lì (potete farle più piccine beninteso, ma secondo me poi non c'è gusto quando le si azzanna) e rotolatele nella farina, scuotendo quella in eccesso: ne è sufficiente un velo.
In una padella fate scaldare un paio di cucchiai d'olio e mettetevi a soffriggere le polpette quel tanto che basta a fuoco basso, finché non hanno fatto una sottile e uniforme crosticina dorata: a quel punto toglietele subito, perché se friggono troppo poi non bevono il condimento.
Nel mentre che friggete le polpette potete bellamente fare il sugo. Versate la conserva in un tegame, mettete sullo stesso un coperchio (sempre meglio quello di vetro) e fate sobbollire a fuoco basso. Se vi va e ne disponete aggiungete un pezzettino di sedano o basilico - questo nel caso non abbiate la fortuna di disporre di salsa in barattolo già condita, gentile omaggio delle mie zie -, evitate assolutamente l'olio perché a rendere grassoccio l'intingolo provvederanno le polpette stesse.
Finito che avrete di soffriggere le polpette fatele raffreddare un po' (eviterete così il rischio che si sbrachino in cottura) e con garbo e gentilezza mettetele nella pentola con il sugo. Quindi coprite e lasciate sobbollire per discreto tempo, se possibile almeno un'oretta, a fuoco bassissimo. La cottura lenta è infatti l'ultima e fondamentale tappa verso il traguardo della polpetta ben riuscita.
Quando il vostro commensale rientra tutto mesto dopo una lunga giornata di lavoro dategli un'affettuosa pacchera sulla spalla, aspettate che si tolga la divisa da pinguino, cassamortaro o qualunque altro di quegli orrendi abbigliamenti che si suole imporre presso le aziende italiane, e portategli in tavola le polpette ben calde. Vedrete che gli tornerà l'entusiasmo, e che metterà mano con rinnovata lena a forchetta e pagnotta (le polpette chiamano infatti la scarpetta come poche pietanze).
Se poi putacaso anziché di un commensale si trattasse di commensali, vi basterà lessare al dente adeguata quantità di riso, condirla con il sugo delle polpette - in tal caso prevedete due barattoli di conserva - e avrete risolto il problema della cena per più persone.

Necessaria precisazione:
l'amato bene mi ha fatto notare che sarebbe il caso di virgolettare la frase "stupido milanese bersaglio di polpette infuocate", perché essa potrebbe risultare offensiva nei confronti di chi abita nella città del Biscione. Tengo a sottolineare che contro i milanesi non ho un bel nulla, e che detta frase è ripresa para para dal post ivi linkato, eccellente recensione di un certo kolossal padano costato a noi contribuenti una trentina di milioni di euro.
Pertanto chi si offende non indirizzi i suoi strali sulla cuoca, ma su Renzo Martinelli.
Credetemi, li merita tutti.

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