martedì 26 gennaio 2010

Pasta e cavolfiore

Ieri sera, cosa che gli succede assai di rado, il compagno di casa e di vita è rientrato con una disposizione d'animo che rivaleggiava per amenità con quella di un guerriero berserk che si fosse mangiato qualche amanita muscaria di troppo.
Non posso ragionevolmente dargli torto. Quando si passano dieci ore secche in ufficio e a fine giornata vien da chiedere al rompipalle di turno quanto la vuol tagliata vicino all'osso la fetta di popò, non è che si abbandoni la scrivania di umore particolarmente giulivo.
In casi siffatti, l'unica cosa da fare è lasciare l'amato bene a sfogarsi cinque minuti, andare in cucina dove la pietanza tenuta in caldo sul fornello attende di essere servita, e metterla in tavola quando il tapino si ripresenta (e garbato com'è, si scusa pure per aver bofonchiato).
Visto che ieri dopo un un tot di forchettate il povero ha assunto l'espressione di un micio sazio e si è messo a canticchiare Plafone di Elio e le Storie Tese, ne ho dedotto che la pasta e cavolfiore ha incontrato il suo gradimento. La consiglio pertanto a chiunque volesse ammansire un coinquilino, amico o familiare in modalità Attila l'Unno.

Ingredienti:
un piccolo cavolfiore
un paio d'etti di pasta corta (io ho impiegato le pennette, ma i fusilli o i sedani rigati vanno altrettanto bene)
due cucchiai d'olio
uno spicchio d'aglio
una manciata di grana o parmigiano grattugiato
un'ombra di pepe

Preparazione:
lavate bene, pulite e detorsolare il cavolfiore, tagliatene le cimette in pezzi non troppo piccoli (giacché verranno ripassati in aglio e olio c'è il rischio altrimenti che si spappolino, con effetto estetico sgradevole) e mettetelo a cuocere in abbondante acqua con sale quanto basta, badando a coprire la pentola: se il cavolfiore è fresco - quando lo acquistate sceglietelo compatto e privo di puntini neri sui fiori, perché se non ha queste caratteristiche vuol dire che è maturo per l'ospizio - con questo piccolo accorgimento eviterete di riempire la cucina di eau de fleurs de cimetière.
Nel mentre che l'ortaggio cuoce, in una capace pentola antiaderente fate scaldare i due cucchiai d'olio con lo spicchio d'aglio privato del germoglio e schiacciato: non appena il cavolfiore è al dente con l'aiuto di un colino pescatene i pezzi dalla pentola dove ha bollito, travasatelo nell'altro tegame e lasciatelo insaporire coperto e a fuoco basso. Dopo qualche minuto, selezionate i pezzi che sono rimasti più grandetti e metteteli in piattino, tenendoli a portata di mano.
I saggi lettori si chiederanno perché rompersi le scatole andando a caccia delle cimette invece di scolare il cavolfiore more solito.
Semplice: perché lessata nell'acqua di cottura del cavolo, la pasta viene dieci volte più gustosa. E' un trucco che ho imparato dallo zio Filippo, uomo di notevole finesse, e non solo ai fornelli. Giusta i consigli dello zio Filippo procedete quindi a cuocere le penne, i fusilli o quel che l'è, scolateli quando sono ben al dente e versateli quindi nel tegame con il cavolfiore. Coprite con il solito coperchio di vetro e lasciate andare a fuoco minimo per una decina di minuti: la pasta finirà di cuocersi e avrà modo di insaporirsi come si confà.
Quando arriva il momento di portare in tavola aggiungete i pezzi di cavolo tenuti da parte, ricoprite il tegame per un minuto perché arrivino alla giusta temperatura, e infine spolverate di pepe e formaggio.
Quindi servite la pasta all'amato bene, non mancando di dare un bacio su quella povera testa in ebollizione da stanchezza.
Guardate la sua faccia che man mano si rischiara, e quando sentite che inizia a zufolare dategli un altro bacio: gli farà apprezzare ancora di più la cena.
Se poi volete completare l'opera, servitegli come dessert un paio di biscotti di pasta frolla accompagnati da crema pasticcera: saranno eccellente viatico per mandare del tutto a quel paese i rompipalle di turno e le fette di popò tagliato fino, e per un proseguimento di serata all'insegna del buon umore.

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