Lo dico subito: questa è una ricetta che sconsiglio vivamente. La preparazione è lunga una quaresima, ci vuole una pazienza infinita e un'altrettanto infinita perizia (che io non ho), e il sapore non è manco sto granché.
Mi chiederete: perché la proponi, allora?
Perché è (letteralmente) un residuato bellico, o per meglio dire autarchico. La si può trovare nelle Altre ricette di Petronilla edito nel 1937 (XV anno E.F., of course), uno dei testi che nella biblioteca della casalinga dell'epoca non mancavano mai. La copia in mio possesso, sbrindellata da decenni di uso, apparteneva a mia nonna, che la teneva accanto all'Artusi e al Talismano della Felicità. Mi è capitata in mano in quell'età cruciale in cui si sta decidendo cosa si è, non si è e non si vuole essere, ed è stata una lettura altamente istruttiva.
Primo, perché restituisce uno spaccato senza eguali della media e piccola borghesia dell'epoca, e degli sforzi erculei necessari a mantenere una risibile facciata di decoro pur senza avere una lira che avanzasse (l'introduzione, in cui Petronilla insegna alla casalinga dell'epoca - ché solo casalinghe si poteva essere, fosse mai che si scippasse il lavoro agli uomini - come ben figurare senza molto spendacchiare in caso di pranzi e colazioni con ospiti "di riguardo", è un vero gioiello).
Secondo, perché bastano poche pagine per far nascere una sana indignazione anche alla più ottusa delle aspiranti veline, letterine e letteronze, tramutandole d'incanto in agguerrite emule di Adele Faccio (è sufficiente la chiosa alla ricetta delle bistecche miste, da portare in tavola con contorno di "ciò che più piace al marito, dato che il padrone, quello che lavora e che guadagna per tutti, è… lui; e soltanto lui!").
Terzo, perché riempie di doveroso rispetto nei confronti delle nostre nonne e prozie, costrette a fare i salti mortali per portare in tavola un pasto decente usando ingredienti come, ad esempio, le bucce di piselli.
Visto che avevo un po' di tempo libero, l'ho impegnato nel tentativo malriuscito di realizzare il temibile passato con questa verdura che "costa un bel niente!", per citare l'autrice. In effetti non costa nulla in denaro; ma costa, e tanto, la preparazione. Personalmente, sarà l'imperizia, ci ho messo più di un'ora, ma non credo che la casalinga media dell'epoca ci mettesse meno. Pertanto dedico il tempo impiegato a spignattare alle mute eroine che, per far quadrare il bilancio familiare, trascorrevano i migliori anni della loro vita davanti ai fornelli.
Ingredienti:
mezzo chilo circa di bucce di piselli
20 grammi di burro
due cucchiai di farina
un bicchiere di latte
due o tre cucchiai di parmigiano
un pizzico di noce moscata
un uovo
svariati quintali di pazienza
Preparazione:
lavate ben bene le bucce, mettetele a lessare in una pentola capace e, quando si sono cotte (voi mi direte: e chi le ha mai viste cotte, le bucce di piselli? Sono cotte quando sono diventate parecchio morbide, e le si può infilzare con la forchetta), scolatele e fatele raffreddare.
Quindi prendete un setaccio o un colino di acciaio a trama fitta, poggiatelo su una scodella, metteteci un po' alla volta le bucce cotte e premendole con il fondo di un bicchiere raccogliete la polpa delle stesse (vi ritroverete, vi avverto, con una quantità di scarto impressionante).
In un pentolino fate una besciamella mescolando su fuoco basso il pezzo di burro e i due cucchiai di farina: quando si sono incorporati e hanno assunto un colore dorato, aggiungete man mano il bicchiere di latte. Quando la besciamella si è addensata, versateci la polpa delle bucce e mescolate.Alla crema aggiungete un tuorlo d'uovo in precedenza sbattuto, il parmigiano grattugiato, il pizzico di noce moscata e da ultimo l'albume che avrete montato a neve con un pizzico di sale.
Traferite infine il composto in un piccolo stampo da budino imburrato e infarinato, e mettetelo in una pentola a cuocere a bagnomaria, curando di mettere nella pentola tanta acqua quanto ne occorre per arrivare quasi al livello del passato.
La ricetta originale recita a questo punto di far "bollire l'acqua fino a che nel passato... Fino a che, come per ogni altro passato, immergendo in esso uno stecco, questo ne uscirà pulito, cioè senza traccia di pasta ad esso appiccicata", a quel punto di versare il passato in un piatto capovolgendovi lo stampo, e assicura: "sentirai i commenti familiari!"
Ora, io di passati non ho molta esperienza, ma è trascorso un tempo che mi è parso infinito e la massa non accennava a solidificarsi comme il faut neanche a invocare lo spirito di Escoffier. Pertanto, dopo tre quarti d'ora ho spento il fuoco, ho versato alla benemeglio l'abortita pietanza in una scodellona e ci ho messo sopra, a lenire la tristezza del tutto, due foglioline di basilico.
Il compagno di casa e di vita, rientrato alla consueta ora tarda, si è fatto un sacco di risate a vedermi guatare con occhio truce il passato che non si consolidava e, al momento dell'assaggio, mi ha assicurato che "non era niente male"; confermo il giudizio, ma il "niente male" è dovuto al fatto che nel piatto esecrando c'erano comunque besciamella, formaggio e quant'altro che gli hanno dato sapore. Le bucce di piselli tuttora non so di che sappiano; se hanno una qualche personalità di gusto, nella preparazione la perdono. Oppure quel sentore di erba di prato che ho avvertito era dovuto a loro.
L'esperienza, che non ripeterò più neanche sotto la minaccia di tortura, è stata comunque assai formativa: la prossima volta che torno a casa e mi verrà da sbuffare al pensiero di mettermi ai fornelli, andrò con la mente alle poverette impegnate a pressare bucce e benedirò di essere nel secolo ventunesimo.
Un piccola nota per finire: Petronilla si chiamava in realtà Amalia Moretti Foggia, è stata una delle prime laureate in medicina d'Italia, lavorava come pediatra presso l'ospedale milanese di Porta Venezia, e oltre alla rubrica di cucina tenuta come Petronilla sulla Domenica del Corriere, sullo stesso settimanale forniva consigli di igiene e risposte sui più diversi problemi di salute con il nome di dottor Amal. Uno pseudonimo maschile, ovviamente, nonostante fosse una professionista di fama: figurarsi se all'epoca una donna poteva occuparsi di scienza e medicina venendo presa sul serio. Adesso stiamo decisamente meglio: abbiamo addirittura donne che fanno i ministri, e vengono prese molto sul serio.
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Sono anch'io una divertita lettrice del famoso libro di ricette di Petronilla (scovato anni fa fra i reperti cucinieri della nonna materna) e ora anche del tuo simpatico - e molto ben scritto! - blog. Ripasserò certamente!
RispondiEliminaSerena
Ciao Serena,
RispondiEliminagrazie mille per i complimenti! E per inciso, che bello non essere la sola a conoscere la leggendaria Petronilla, autentica maestra di cucina e di etichetta per tante povere donne di casa del Ventennio e anche dopo. Cosa non darei per una ristampa anastica del suo ricettario: il mio cade a pezzi, e quelli di rado proposti presso gli antiquari hanno prezzi proibitivi...
Molti saluti,
Jessie