domenica 11 ottobre 2009

Com'è lontano il mio vicino Totoro

"Tanto è garantito come l'oro che qualche boiata la fanno. Mettiti il cuore in pace, e goditi il film. Semmai, vai di mannaia dopo."
Il mio amato bene aveva, come spesso gli succede, ragione. Si sbaglia solo sulla scelta dello strumento. Che, nella fattispecie, è un mazzuolo di legno. Vi spiego dopo il motivo della scelta. Per adesso, basti dire che sono uscita dal cinema dove proiettavano Il mio vicino Totoro in modalità Okiku.
Di questo bellissimo film avevo già parlato altrove, per cui non dico nulla della trama o delle caratteristiche che lo rendono un capolavoro. E, a scanso di equivoci, sono tanto, tanto grata alla Lucky Red che, bontà sua, ha deciso di doppiare e proporre sul mercato italiano i film di Miyazaki che il pubblico non aveva avuto modo di vedere al cinema per via di una certa faccenduola: goderselo sul grande schermo è ben diverso che sguerciarsi sul televisore casalingo. Però, giacché c'era, poteva fare un lavoro comme il faut. Ci è andata vicina. Il problema è che, per certi versi, ci è andata pure troppo.
Mi spiego.
Chi ha avuto modo di leggere le mie bagattelle sull'animazione giapponese già sa che ho il dente avvelenato causa adattamenti da vergogna, in cui il traduttore tenta pietosamente di strizzare l'occhio al pubblico occidentale con battute che con l'originale non c'entrano un bel nulla o aggiungendo dialogo a man bassa. Non è questo il caso. Il rispetto per l'originale è evidente, molto evidente. Lo è fin dalla sigla iniziale: azzeccatissimo il cantato, tant'è che per i primi secondi ho pensato che avessero lasciato quello nipponico, centrato il significato della traduzione. Io e l'amato bene ci siamo guardati in faccia (un po' difficile nel buio della sala, ne convengo), e abbiamo detto, cosa che non ci succede spesso: "Però, comincia bene".
Il problema è come continua.
Perché il rispetto per l'originale è cosa santa. Quando è eccessivo, no.
Chi ha un minimo di dimestichezza con la lingua del Sol Levante sa quanto i giapponesi siano formali nel parlare. Lo sono in maniera terrificante. Per un povero gaijin, non c'è modo di evitare figuracce spaventose manco se studia indefessamente per anni. Hanno delle costruzioni che grondano cortesia, in cui il tapino occidentale si ritrova stravolto già a metà del "prego umilmente l'eccellenza vostra" (espressioni che, più o meno, si usano anche quando stai chiedendo a un commensale di versarti un bicchier d'acqua). Il punto è che, tradotte letteralmente in italiano, danno la sensazione polverosa di un drammone ambientato a metà Ottocento in qualche casata del Regno delle Due Sicilie. Il che non è gradevole se si sta vedendo una storia che, nella fattispecie, è ambientata nel Giappone degli anni Cinquanta. Men che meno se a espressioni della nobiltà gattopardesca si alternano altre del linguaggio colloquiale. E men che meno ancora se si fanno dire a una creatura di dieci anni costrutti quali "avevi forse l'intenzione". Ha dieci anni, per la miseria. Vabbè che è figlia di un archeologo, ma se a quell'età parla a quel modo chiunque abbia un po' di sale un zucca le fa fare una settimana di cura a base di coda alla vaccinara e film di Tomas Milian.
Chi ha la succitata dimestichezza sa pure che in certi contesti abbondano vezzeggiativi e nomignoli, questi ultimi perlopiù segno di rispetto. Per carità, li abbiamo anche noi. Che si definisca una persona anziana "nonnina" va pertanto benissimo. Se però si mettono in bocca ai personaggi espressioni quali "Da mammina per nonnina!" (lo pronuncia un fanciulletto decenne che ha il livello di civetteria di uno scaricatore di porto) oppure "Avverti papino!" (detto dalla nonnina al succitato fanciulletto), lo spettatore aggriccia. Idem dicasi per la tendenza di Mei, la più piccola delle due protagoniste, a chiamare la sorella maggiore Satsuki sempre e comunque "sorellona": non c'è bimbo o bimba giapponese che non chiami "oneechan" la sorella più grande, se però lo metti in bocca ogni due per tre a una creatura parlante italiano, alla quarta volta scatta il birignao.
I nipponici hanno inoltre il vizio di parlare di sé o dell'interlocutore in terza persona. Il che è spesso strumento chiave per equivoci che in manga e anime si trovano a bizzeffe (esempio classico, la ragazzina che chiede a un ragazzo "Scusa, ma è vero che Tizio frequenta il liceo Taldeitali?", e lui le risponde "E' vero, Tizio frequenta quel liceo": va da sé che il ragazzo è Tizio in persona). Da noi non è particolarmente usato: lo impiegano soprattutto i bambini. E va benissimo che nel film la piccola Mei dichiari fieramente "Mei non ha paura!". Va meno bene che parli di sé in terza persona sempre, e della mamma in terza persona pure quando la citata mamma è presente. Il birignao scatta subito, e nella assoluta spontaneità suggerita dal contesto e dalle immagini è a dir poco micidiale.
Mei, per inciso, è proprio quella che se la passa peggio. Nella versione originale è una deliziosa creaturella sui tre anni, e come tutti i piccini di quell'età ogni tanto intruppa sulle parole o le dice a modo suo. E' proprio lei a battezzare lo spirito della foresta con il nome Totoro, storpiatura dell'inglese "troll" (reso in giapponese con tororu) che non riesce a pronunciare. Nel doppiaggio, parla con la nitidezza di una signorina buonasera vecchio stampo. Per cui, quando la traduzione le mette in bocca "girelli" anziché girini, vien voglia di dare il girello in testa all'adattatore fino ad esaurimento dello stesso.
Tutto ciò fa dar di matto a uno spettatore che, come la sottoscritta, abbia già visto più volte Totoro in versione originale, e lo consideri uno dei più bei film che l'animazione giapponese e non solo ci abbia mai regalato.
Fa dare ancor più di matto considerando che alcune cose della traduzione sono assolutamente sublimi.
Prendiamo un caso eclatante: i Makkurokurosuke, ovvero gli spiritelli fuligginosi che all'inizio del film infestano la casa dove le piccole protagoniste e il loro papà vanno ad abitare. Letteralmente, sono i "cosi nerissimi". Vengono resi con "nerini del buio". Che è pressocché perfetto, sia per significato, sia per la metrica. Oppure la scena in cui la nonnina, terrorizzata perché Mei non si trova, prega febbrilmente: "Namu amida butsu, namu amida butsu", tradotto con "nel nome di Buddha, nel nome di Buddha" e reso ancora più emozionante dalla somma Liù Bosisio. Mi si dirà che sono piccolezze: non lo sono. Sono le cose che mi fanno alzare e togliere il cappello.
Peccato che poi chi ha tradotto e adattato incorra in perle come Totoro definito "fantasma" da Satsuki (nell'originale è "spirito", cosa ben diversa) o che il mitico Gattobus, in originale Nekobasu, venga reso letteralmente con "autobus gatto".
Autobus gatto? Quando Gattobus metricamente era perfetto, e perfettamente comprensibile anche per uno spettatore che vada all'asilo?
Si vede che lo sforzo dedicato ai Makkurokuroske aveva esaurito in chi ha tradotto e adattato qualunque riserva di creatività.
Vi consiglio comunque di andare a vedere Totoro al cinema. Non c'è adattamento malfatto o legnoso che possa scalfire il senso di meraviglia che trasmette. Vederlo sul grande schermo e poterne apprezzare tutti i magnifici dettagli del disegno e dell'animazione è emozionante. Fa quasi passare sopra al fatto che la versione italiana sia un'occasione davvero sprecata.
Quasi, per l'appunto.
Ed è per quello che mi armo di mazzuolo.
Perché se putacaso mi trovo davanti traduttore & adattatore, visto che hanno mostrato un rispetto tanto pedissequo quanto pigro nei confronti dell'originale giapponese, sarà mio piacere ridurli in mochi.
Che per coloro che non lo sapessero è il dolce tradizionale nipponico per eccellenza, fatto con riso glutinoso che viene pestato, pestato e ancora pestato fino a quando non è diventato una collosa poltiglia.
La prossima proposta in italiano della Lucky Red dovrebbe essere Porco Rosso.
La attendo con entusiasmo e con fiducia.
Che spero sia ben riposta.
Perché in caso contrario sostituisco il mazzuolo di legno con un Savoia Marchetti S.21 e, vi assicuro, sarà di gran lunga peggio.

6 commenti:

  1. Beh, l'ho visto anch'io ieri sera allo Skyline di Sesto SG con le mie bambine. Ne sono rimasto incantato, sono uno che adora i dettagli e ho avuto pane per i miei denti!
    Il doppiaggio tutto sommato l'ho trovato all'altezza. D'accordissimo sul gatto, tant'è che alla prima apparizione avevo detto alle mie pesti: "guardate un gattobus"... E se ci arrivo io...
    In ogni caso mi autocomplimento per aver salvato le mie bambine da mostruosità varie tipo Biancaneve e 007nani o porcherie in digitale alla Trilly! Coraggio distributori, l'arte è arte!
    LP

    RispondiElimina
  2. Caro bibabbo, a scanso di equivoci, voglio mettere in chiaro quanto segue.
    Totoro è un film meraviglioso.
    Sono *strafelice* di averlo potuto vedere al cinema.
    Sono ancora più felice che lo possano vedere al cinema i bambini, i loro genitori, gli appassionati, gli spettatori casuali.
    Ma l'adattamento italiano, a parte qualche raro momento di brillantezza, fa pena.
    Fa pena perché è legnosamente supino nei confronti dell'originale (c'è chi altrove ha lodato i costrutti della traduzione in quanto perfettamente rispondenti a quelli originali: un segno, per quanto mi riguarda, che il lavoro è stato svolto in modo pessimo), perché non vi è coerenza (se si traduce Kanta-san ridicolmente con "signorino Kanta" in modo da rispettare in massimo grado il linguaggio keigo - ovvero formale - dell'originale, allora Satsuki-chan, che viene lasciato tale e quale all'originale, andava tradotto con "Satsukina" o simili), perché il risultato finale suona al contempo artificioso e raffazzonato.
    Si poteva fare di gran lunga meglio anziché sostenere, cosa che ha fatto chi ha tradotto e adattato, che "non è sensato pensare che un giapponese tradotto in italiano debba o possa suonare naturale alle nostre orecchie, perché noi non siamo giapponesi".
    I francesi non si sono preoccupati di aderire in modo maniacale all'originale giapponese quando hanno realizzato la versione transalpina di Porco Rosso. Che però, mi dice una mia amica appassionata di anime che sa il francese, è ottima, e ha visto Jean Reno doppiare il protagonista: il risultato è stato tale da suscitare l'entusiasmo di Miyazaki, che ha dichiarato di preferirlo all'originale.
    Non so cosa direbbe Miyazaki se potesse esaminare in dettaglio la versione italiana di Totoro. Dubito che manifesterebbe altrettanto entusiasmo.
    Detto questo, ribadisco: sono felicissima di aver potuto vedere Totoro al cinema. E sono ancora più felice che tu, bibabbo-san, abbia portato le tue pesti a vederlo. Se è vero che i bambini salveranno il mondo, lo salveranno anche perché hanno la fortuna di avere genitori intelligenti :D

    RispondiElimina
  3. Che dire, arigato!

    ps: non so se si traslittera proprio così, attendo a capo chino il cazziatone:)

    Lorenzo il bibabbo-san

    RispondiElimina
  4. FINALMENTE, trovo qualche degno commento all'indegna traduzione di Totoro. Premetto che non conosco il giapponese, ma conosco i dialoghi di Totoro a memoria in quella lingua, avevo una versione (ahimè pirata :-)) )con dei sottotitoli la cui traduzione sembrava decente. Ho la versione in italiano solo perchè il mio bimbo di 19 mesi adora Totoro e ho voluto farglielo vedere in italiano per evitare di creare confusione nella sua testa, visto che sta cercando di imparare a parlare, ma temo che con quella traduzione mi parlerà come una contessa sgrammaticata! E quella dei girelli è veramente una boiata pazzesca... ma fosse l'unica! Ho cercato di rintracciare notizie sul traduttore o il curatore della traduzione ma non c'è verso. Credo che rimanga solo da protestare alla Technicolor, responsabili della digitalizzazione italiana, nonchè delle traduzioni immagino... Grazie comunque, sono felice di non essere l'unica che ha sofferto nel sentire questo doppiaggio, in cui oltrettutto la piccola e simpatica Mei, riesce a risultare antipatica, benchè sia adorabile nella versione originale!

    RispondiElimina
  5. Anche tu? Compagna! Fa piacere sentirsi meno soli :D
    Per inciso, dopo aver scritto codesta bagattella su Totoro ho scoperto il nome di colui cui dobbiamo gratitudine per il brillantissimo adattamento: trattasi di Gualtiero Cannarsi, già copertosi di gloria con altre traduzioni e capace di perle teoretiche quali quella citata in un commento precedente; alcuni user di it.cultura.linguistica.giapponese lo ricordano anche per terrificanti haiku erotici proposti con il nick Hentai Senpai - quelle finesse -, i quali venivano accolti fra l'indifferenza o lo spregio generali, ma questo fra parentesi e per gusto archeologico. Cerca in Rete, e potrai scoprire di quale universale amore è circondato costui :D
    En passant, io non mi preoccuperei del fatto che il tuo cucciolo possa avere problemi con le versioni originali di qualsiasi film in quanto sta imparando a parlare: i bambini della sua età e anche oltre hanno una duttilità che noi adulti possiamo solo invidiare mestamente, e comunque la fonte primaria della sua conoscenza linguistica per un bel po' di tempo ancora sarai proprio tu! Il mio amato bene, fra parentesi, vedeva Totoro in originale con il suo nipotino a malapena duenne, e non vi sono state conseguenze negative di alcun genere né a breve né a lungo termine... Almeno sembra :)

    RispondiElimina
  6. Totoro, come Miyazaki in generale, non credo possa dare conseguenze negative :-D Gli ho fatto conoscere da due giorni anche Ponyo (altra poesia d'amore che quest'uomo continua a regalarci) e alla faccia della Disney, il mio cuccioletto predilige i giapponesi di granlunga... proprio vero che la sensibilità dele creature non ancora contaminate dalla cultura occidentale riesce a distinguere ciò che è elegante e poetico da ciò che è superficialmente divertente!
    Mi farò una cultura sul signor Cannarsi... E proveremo a evitarlo in futuro!!!
    A bien tot! :)

    RispondiElimina

Paperblog