mercoledì 10 marzo 2010

Cardoni al parmigiano

L'altro sabato mentre mi aggiravo per il mercatino rionale in compagnia del sempre pazientissimo amato bene la mia attenzione è stata calamitata da una cassetta, seminascosta fra peperoni e melanzane, che nessuno pareva filarsi granché. In detta cassetta c'era un ortaggio che mai mi sarei aspettata di trovare in vendita di marzo, perché da noi per tradizione si mangia nel periodo di Natale. Va detto pure che peperoni e melanzane uno li dovrebbe trovare in vendita in estate anziché in marzo, ma le magnifiche sorti e progressive ci hanno abituato a questo e altro, e non sarò certo io a lamentarmi di ciò. Fatto sta che ho chinato la faccia verso detta cassetta, e l'amato bene insieme a me.
"Uh, ma va. I gobbi."
"Veramente sono cardune, eh."
"Cara, a casa mia si chiamano gobbi."
"E a casa mia no. Pertanto questi non sono gobbi bensì cardune".
Evito di riportarvi il resto della discussione, che ben mostra come ciascuno di noi sia persuaso che il suo luogo d'origine sia l'ombelico dell'universo creato e tutti gli altri possano anche scomparire. La quale discussione è stata assai breve, perché il compagno di casa e di vita oltre a essere paziente è pure assai intelligente e, pur non avendo origini meridionali, ben conosce la sempre valida filosofia del "tu dille ca sì" (per chi è nato sopra la linea del Volturno: "tu dille/digli di sì", per poi ovviamente fare e pensare come ti pare). Fatto sta che me ne sono tornata a casa con, oltre al resto della spesa, anche con un bel mazzo di cardune, o gobbi, o cardi che dir si voglia.
Chi li conosce sa che i cardi sono buonissimi. La rogna è pulirli come si confà, perché sennò al momento di mangiarli solo un ciuchino può affrontare vittoriosamente la quantità di fibre e filamenti che hanno. Io pur avendolo visto fare tante volte non avevo mai pulito i cardi in vita mia, per cui ho fatto ciò che sempre faccio quanto sto in panne per faccende cucinarie: ho chiamato la zia Lella.
La quale ha testualmente risposto: "Vieni qui da me altrimenti la cucina ti diventa nu munezzàre" (una discarica, per chi non è sannita).
Io ho pensato che eccedesse, visto che la quantità di scarto prodotta dalle innumerevoli puliture di cardune cui avevo assistito mi era parsa notevole sì, ma non eclatante.
Fattane l'esperienza personale, ho avuto modo di scoprire che non mi era parsa eclatante solo perché la cucina della casa al paesello è una piazza d'armi. Il mio angolo cottura ne sarebbe stato sommerso o giù di lì.
Ciò spiega perché dal chilo e sette abbondante di materia prima il risultato sia una ciotola scarsa. Però, visto il sapore, ne è valsa la pena.
I cardune a casa mia si fanno in due modi: o in zuppa, il che prevede realizzazione a parte di brodo di carne e svariata quantità di polpettine grandi al massimo quanto un cece (cosa che spiega come mai detta zuppa si faccia solo una volta l'anno in occasione di Santo Stefano), oppure come contorno. Giacché per la prima è passata di gran lunga la data canonica e non da ultimo gradirei evitarvi un esaurimento nervoso nel caso folle vi voleste cimentare nella realizzazione della stessa, vado direttamente a proporvi la seconda opzione.

Ingredienti
un chilo e mezzo o più di cardune (o gobbi, o cardi, o come li si chiama nel vostro personale ombelico del mondo)
un paio di cucchiai d'olio o burro
50 grammi di parmigiano, o di più se vi garbano di sapore corposo
una crosta dello stesso cacio

Preparazione:
anzitutto preparate il piano di lavoro con adeguati strumenti, il che vi risparmierà un pianto dirotto al momento di pulire la cucina. Sul tavolo o sul piano di lavoro stendete adeguata quantità di carta di giornale e ponete sulla stessa una bacinella d'acqua addizionata con succo di limone per far sì che i cardi non si anneriscano. Poi munitevi di coltellino affilato e procedete come segue.
In primis, levate i fusti esterni che sono troppo duri. Staccate quindi man mano quelli più interni, e tagliateli per il lungo. Levate le eventuali foglie. Quindi, partendo dalla cima, intaccate un pezzetto della superficie e con santa pazienza tirate via la buccia con i filamenti, facendo attenzione a non straportavi appresso anche la parte interna: spero che la foto aiuti a illustrare il procedimento.
Continuate finché non avete tolto tutta la buccia, quindi fate il cardo ripulito a pezzi e mettete gli stessi nell'acqua acidulata. Proseguite finché non avete esaurito la materia prima, rassegnandovi al fatto che alla fine di ciò sarete esauriti pure voi. Quindi tirate il fiato, avvolgete gli scarti nella carta di giornale e buttateli così in una botta sola nel rusco. Vi sentirete molto meglio.
A questo punto siete pronti per lessare i cardi. Metteteli in una pentola che li contenga comodamente, aggiungete un par di bicchieri d'acqua e fateli sobbollire finché non sono al dente.Fatto ciò scolateli, metteteli da parte, e nella pentola stessa che avrete preventivamente risciaquato mettete l'olio o burro e riponete sul fornelli. Quando il grasso prescelto si è riscaldato, buttate in tegame i cardoni, mescolate un tot finché non si sono bene impregnati, quindi aggiungete la crosta di parmigiano tagliata a pezzetti e coprite con il coperchio di vetro. Lasciate a fuoco minimo per una decina di minuti, il che sarà sufficiente per far ammorbidire il cacio. In ultimo aggiungete il parmigiano grattugiato, date un'ultima mescolata e portate in tavola.
Quindi, assieme a chi mangia con voi, assaggiate il frutto della vostra fatica. Se non avete mai avuto modo di provare i cardi, scoprirete che hanno un delicatissimo sapore simile al carciofo ma assai più ricco di sfumature, che si sposa eccellentemente con il formaggio e vi darà grandissima soddisfazione. Se già li conoscete, concorderete con me che cucinati a questo modo è la morte loro. E se come me siete sanniti e dovete subire l'ordalia della zuppa di Santo Stefano, converrete che, per gustare cotanta delizia, val la pena darsi del tu con i temibili cardune anche più di una volta l'anno.

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