martedì 2 marzo 2010

Onde verdi, palloncini bianchi...

Oggi niente cucina. Non ne ho voglia. Sono molto arrabbiata.
E' stato arrestato Jafar Panahi.
Molti di voi si chiederanno chi è.
E' un regista iraniano. Ha vinto molti premi, ma riconoscimenti ufficiali a parte è uno dei migliori registi che ci siano al mondo. Se vi sembra un'iperbole, vi ricrederete guardando i suoi film.
Io di cinema iraniano so ben poco. Gli esperti vi diranno che, nell'ultima ventina d'anni, ha prodotto film che per qualità e capacità di rottura rivaleggiano con quelli del neorealismo italiano. Capolavori realizzati con quattro soldi in croce e mezzi limitati. Il rappresentante più famoso è Abbas Kiarostami. Panahi, che è stato portato via dalla polizia iraniana ieri sera, è uno dei più giovani.
E' celebre soprattutto per Il cerchio, opera condannata in patria perché mostra l'oppressione delle donne sotto il regime. Io l'ho conosciuto attraverso un film che, in apparenza, narra una storia molto semplice e quotidiana. Si chiama Il palloncino bianco.
La vicenda si situa a Teheran il giorno del Capodanno locale, ovvero il 21 marzo. Protagonista principale è Razieh, una bambina di sette anni. Per festeggiare vorrebbe acquistare un nuovo pesciolino rosso, che ha ammirato in un negozio non lontano da casa: con le pinne tutte bianche, "come una sposa". La mamma prima la sgrida, poi cede. Razieh è felicissima, ma nella concitazione prima rischia di farsi imbrogliare da un gruppo di ciarlatani, poi perde il denaro che va a finire in un tombino coperto da una griglia. Nel tentativo di recuperarlo entra in contatto con diverse persone: un'anziana signora, un bottegaio, un giovane soldato in licenza per la festa, un ragazzino afghano che vende palloncini. E' grazie a lui, alla fine, che riesce a riprendere i soldi: una gomma da masticare applicata sul bastone cui il ragazzo tiene attaccati i suoi palloni è lo strumento grazie al quale la banconota fuggitiva torna nelle mani di Razieh.
Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio.
Il film, senza esplicitarlo, mette a nudo tutti gli orrori piccoli e grandi e le contraddizioni con cui la gente comune deve scontrarsi nella società governata dagli ayatollah.
Basta la scena iniziale a graffiare il cuore. Razieh vorrebbe quel bel pesciolino con le pinne bianche, ma la mamma è ben poco disposta a darle retta. E' poco disposta perché in casa, in vista dei festeggiamenti, c'è un mucchio da fare: spazza e pulisce mentre il marito, che non si vede mai, sta facendo il bagno e urla a gran voce perché non gli portano il sapone. Razieh, a testa bassa, si dirige verso la vasca del cortile per lavare la boccia dove metterà il pesciolino che già possiede. La lava come qualcuno che ha già fatto quei gesti mille volte, senza alcuna goffaggine infantile. Un gesto piccolo, ma che mostra come a soli sette anni sia già formata per un ruolo che è una gabbia. Un gesto piccolo che è un atto di accusa. Basta poco per mettere una dittatura alla berlina.
Per inciso, Razieh sarà pure una casalinga perfetta in sedicesimo, ma ciò non esclude volontà personale e il desiderio di eludere le barriere della sua condizione. Dopo che la mamma ha ceduto alla sua insistenza (guardando il film fate attenzione alla scena: l'acconsentire materno è accolto dal più bel sorriso che mai vi sarà dato vedere), la piccola esce di casa per andare finalmente a procurarsi il suo pesce. Sulla strada vede un capannello di gente, tutti uomini. Sa che dovrebbe tirar dritto, ma è curiosa. Gli spettatori sono assiepati intorno a degli incantatori di serpenti, che con una scusa sottraggono i soldi a Razieh: solo l'intervento di un'anziana signora riesce a farglieli recuperare. La signora rimprovera con dolcezza Razieh, dicendole che quello non è posto da donne e men che meno da bambine, dovrebbe saperlo benissimo. Cito a memoria la risposta di Razieh: "Ma io volevo vedere quello che non posso vedere, e capire perché non lo posso vedere."
Davvero, basta poco per mettere una dittatura alla berlina.
Basterebbe già solo il fatto che Razieh debba portare un fazzoletto sulla testa. A sette anni. Perché è una femmina.
Non vi racconto altro. Vi consiglio solo di procurarvi questo film. E se possibile, anche gli altri film di Panahi.
Quando ho visto Il palloncino bianco era già uscito da qualche anno. La piccola attrice protagonista, scoprii alla fine, si chiamava Aida Mohammadkhani. Sette anni all'epoca. Calcolai, quando ho visto il film, che probabilmente oramai già era in età per essere costretta a mettere il jilbab, il velo che trasforma le donne in corvi neri di decentissimo aspetto secondo i dettami dei pasdaran. Non venite a menarmela con il fatto che sono politicamente scorretta: guardate Il cerchio, scoprirete quanto le donne in Iran amino indossare il jilbab.
Jafar Panahi era già stato arrestato mesi fa per aver partecipato alle manifestazioni della cosiddetta onda verde, il movimento che si oppone al regime dei guardiani della rivoluzione.
Movimento che guadagna l'onore della cronaca sui nostri giornali solo in caso di morti ammazzati, semmai lo guadagna.
Due paroline di indignazione a buon mercato, una bella palata di sabbia sul fatto che molte nostre aziende fanno con il regime degli ayatollah affari per miliardi di euro.
Pensateci la prossima volta che fate benzina.
Buona giornata.

Nessun commento:

Posta un commento

Paperblog