martedì 9 marzo 2010

Il piacere della stroncatura: Once a thief di John Woo

Io non sono un'esperta di cinema di Hong Kong. Ho amici che al riguardo mi danno una pista, e che ogni tanto mi segnalano qualche opera di quelle che a loro dire non si può non aver visto in vita propria pena, si suppone, l'essere banditi da tutti i cineclub del Regno. Io seguo volentieri i loro consigli, giacché mi hanno permesso di scoprire capolavori come la trilogia di Infernal Affairs (per chi non lo sapesse è alla base di The departed di Scorsese, che per tutta una serie di motivi può far da lacchè all'originale). Altrettanto volentieri li ascolto quando discettano di tecniche di ripresa, montaggio, coreografia delle scene d'azione, e tutta una serie di argomenti che mandano in brodo di giuggiole, e non a torto, i veri esperti.
Come tutti i cultori, i miei amici hanno i loro assiomi. Uno di questi è che come John Woo, nessuno. Qualunque altro regista di film d'azione, che sia di Hong Kong o meno, è buono giusto per pulirgli le scarpe. John Woo è infatti il paradigma globale dell'action movie. John Woo non sbaglia mai. Per carità, andare a svendersi a Hollywood è stato un errore, ma che nessuno osi toccare l'epoca aurea in cui non si era ancora fatto irretire dalle sirene americane.
Bene, dopo aver visto Once a thief, posso dire che John Woo sbaglia, eccome.
Ho visto altri suoi film. Sono eccezionali. Basta l'incipit di Hard boiled a farmi togliere il cappello. Uno dei suoi attori feticcio è Chow Yun Fat, che personalmente adoro. Pensavo che non mi sarei mai stancata di guardarlo sullo schermo. Ciò fino a questo film.
Mescolare commedia romantica, comicità slapstick e film d'azione è, salvo rarissime eccezioni, una ricetta per il disastro. Once a thief non è una delle eccezioni. Il che fa sì che, a parte una decina di minuti su oltre un'ora e mezza, uno eviti di andare di fast forward solo per il gusto di insultare attori, sceneggiatori e non da ultimo chi è dietro la macchina da presa.
La trama, più meno, è la seguente. Tre ladri di Hong Kong, che in tenera età sono stati avviati all'arte del furto da un losco malavitoso, sono specializzati in opere d'arte. Puntano un boccone troppo grosso. Va a finire male. Si reincontrano dopo qualche tempo, più vecchi e più saggi ma sempre ladri. Altro furto con grandi sconquassi. E dopo un tot di colpi di scena tutti vissero felici e contenti, con il losco malavitoso che va a finire in galera. In sintesi, la puzza di stantio si sente a chilometri.
Detta puzza è resa ancora più temibile da un altro elemento, che potrete dedurre da voi se vi dico che il trittico ladresco è composto da due maschi, uno apparentemente rude ma in realtà tanto sensibile e l'altro belloccio con l'occhio languido, e una femmina che pare una popstar asiatica di quelle un tanto al chilo capitata lì per meri motivi contrattuali. Uno di quei casi in cui la geometria è reato, perché il fluire degli eventi viene interrotto a ogni piè sospinto dall'uno o l'altro dei due che fa gnegnè con lei, o da gnegnè in combinata. Se si aggiunge che la chimica fra cateti e ipotenusa è del tutto assente, uno inizia ad augurarsi che qualsivoglia scagnozzo del già citato malavitoso irrompa sulla scena per dare ai tre, se non una misericordiosa pistolettata in mezzo alla fronte, quantomeno un calcio in culo perché si decidano a darsi una mossa, ché il film in qualche modo deve pur arrivare alla fine.
Il top dello stantio lo si raggiunge con l'ambientazione. John Woo ha infatti ben pensato di girare fra Parigi e Nizza. Per grazia celeste ci viene risparmiata la torre Eiffel, ma tutto il resto ci sta: Notre Dame, i boulevard, i tavolini vista Senna, le promenade ombreggiate dalle palme, il castellazzo fintomedioevale e varia fuffa assortita. Manca solo la scritta "cari saluti" per rendere completo l'effetto cartolina, o qualche rutto per raggiungere quello Vanzina. In mancanza di rutti, si vede però Chow Yun Fat che annusa della pipì di cane per esigenze di copione. Si spera dietro adeguato compenso.
La ciliegina sulla torta la mette la recitazione. Il film, si suppone per renderlo più appetibile al mercato internazionale, è stato girato in inglese. Io tendenzialmente vedo i film in lingua originale causa le note perle che ci regala la scuola di doppiaggio migliore del mondo. Basti dire che, dopo il primo quarto d'ora, ho fermato il DVD e l'ho fatto ripartire in italiano. Perché sentire il cast tutto massacrare la lingua d'Albione con una pronuncia che manco un turcomanno sotto acido era cosa superiore persino per le forze di una che, quando parla inglese, al confronto Albertone pare Laurence Olivier. Soprattutto se, almeno nel caso dell'attrice protagonista, al massacro si aggiunge il birignao in salsa sino-tonale. Manco un eccellente attore come il già citato Chow Yun Fat può salvarsi dal disastro: immaginatevi De Niro che parla come Jerry Lewis e potete avere un'idea dell'effetto.
In tutto ciò qualcosa si salva. Un paio di battute riescono ad essere gustose (alla domanda sul perché l'esplosivo che avrebbe dovuto scassinare una porta blindata abbia fatto saltare la parete vicina, la risposta è "Deve essere difettoso, l'hanno fabbricato in Cina!"), c'è una deliziosa scena in cui l'ipotenusa e il cateto rude ma sensibile danzano assieme, con la particolarità che lui è in sedia a rotelle e compie dei prodigi di acrobazia, e l'immancabile climax offre una bella coreografia a base di sparatorie assortite, con i malavitosi armati di tutta l'artiglieria possibile che volano per aria con più buchi del groviera e un singolare clone di Remy Lebeau degli X-Men (però abbigliato da cassamortaro e con pettinatura a leccata di mucca, sennò che cattivo è) che fa la fine del pollastro arrosto. Questo, per inciso, è il solo momento in cui si riconosce la mano di John Woo, perché le altre scene d'azione fanno rimpiangere il più stanco dei poliziotteschi all'italiana. Si vede che per il resto del film dietro la cinepresa ci doveva essere il cugino picchiatello, o qualche altro parente altrettanto picchiato.
Dopo tutto ciò, si rimpiange che il picchiato non sia John Woo, beninteso con nodoso tortore, per aver avuto la bella idea di darsi alla commedia onde stemperare la drammaticità dei suoi film precedenti.
Non so quanto gli amici cinefili condividano la mia opinione. Certo non è condivisa dalla popolazione della ex colonia britannica adagiata di fronte al fu Celeste Impero, la quale ha affollato i cinema decretando per Once a thief un successo stratosferico. Ma come dice il celebre detto, non vuol dire che i milioni di mosche che trovano gustosa la popò non possano sbagliare.
Pertanto, e mi perdonino gli amici cinefili nonché i miei raffinati lettori, non posso non far mio l'immortale giudizio critico del ragionier Fantozzi Ugo.
Per me, Once a thief è una cagata pazzesca.

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