"Pronto zia?"
"Nipote! Come va?"
"Benone, ma vorrei sapere come va a te."
"Tutto a posto. Sto preparando tutto quanto."
"Zia, non ti stancare..."
"Uh, quante storie... E mica posso stare con le mani in mano. Ho già fatto il pane di Pasqua, le ciambelle con il naspro, i fiadoni..."
"E figurati... Qualcosa d'altro?"
"Ovvio. Quando arrivate è Venerdì Santo. Ho già preso il baccalà, così domani lo metto a bagno."
"Pure!"
"E certo. Che si fa il Venerdì Santo senza il baccalà?"
Per carità. Senza il baccalà, che Venerdì Santo sarebbe. A casa mia lo si mangia da generazioni. Ovvero lo mangiano i miei, ché io mi constringo ad assaggiarne una briciola dopo lunga meditazione e non senza sospettose annusate preventive, visto che il merluzzo e la sottoscritta da sempre si guardano reciprocamente in cagnesco. Ma giacché a detta dell'universo mondo come fa il baccalà mia zia Maria non lo fa nessuno, vi propongo la ricetta mutuata dalla tradizione familiare: in occasione della ricorrenza vi potrà essere ben utile un'incursione nella gastronomia sannita.
La preparazione è assai semplice ma tradisce la sua natura festiva grazie all'impiego di uva passa e sottaceti, necessari a ingentilire quello che un tempo al mio paese era l'unico prodotto ittico disponibile per la popolazione meno ricca: cosa che ben si desume dal detto popolare "u baccalà pure pesce è" (anche il baccalà è pesce), a significare che pure le cose di apparente poco pregio hanno il loro valore. Ma sto divagando come al solito: spostiamoci ai fornelli.
Ingredienti:
un mezzo chilo abbondante di filetti di merluzzo sotto sale (non quello già bagnato, per carità)
due belle manciate di mollica di pane raffermo
una manciata di uva passa
qualche peperone tondo sott'aceto (di quelli che al mio paese son detti peparuole: se non ne avete, andrà bene qualche pomodorino)
un po' di prezzemolo
olio extravergine di oliva
Preparazione:
per prima cosa bisogna approntare il malefico pesce per la cottura, il che comporta bagnarlo. Lo so che si può acquistare già bagnato presso il pescivendolo, ma giacché in molti hanno la pessima abitudine di metterlo per un'ora scarsa in acqua calda in modo da fargli assumere a tempo di record la giusta consistenza, c'è il rischio concreto che vi ritroviate in bocca una miniera di sale al momento di mangiarlo: pertanto fate da voi che è meglio.
Giusta i dettami della tradizione, mettete a bagno il pesce in acqua rigorosamente fredda, coprite con un bel coperchio e lasciatecelo per un cinque ore o più, avendo cura di mettere la bacinella sul balcone o in loco ben aerato perché il profumino che si sprigiona da essa è assai poco invitante. Passato il tempo prescritto, cambiate l'acqua e rimettete a bagno. Ripetete quindi l'operazione una terza volta: a quel punto, il baccalà sarà bagnato come si confà e al ritmo giusto, e avrà perduto il sale in eccesso.
Prendete una bella teglia antiaderente, bagnatene il fondo con una dose d'olio abbastanza generosa e quindi adagiateci con garbo i filetti di pesce che avrete preventivamente un po' strizzato con le mani. Aggiungete sulla loro superficie la mollica di pane, il prezzemolo tritato, l'uva passa fatta preventivamente ammorbidire in acqua tiepida e infine i peperoni sott'aceto che avrete già sciacquato, svuotato e farcito con mollica, un filo d'olio e qualche chicco di uva passa. Se non avete i peperoni, basterà aggiungere i pomodorini tagliati a metà.
Irrorate il tutto con altro olio e mettete in forno ben caldo per una mezz'ora, saggiando di tanto in tanto la consistenza del pesce con la forchetta: se vi pare che sia ancora poco cotto quando il tempo sta per scadere aggiungete un mezzo bicchiere d'acqua, ma non dovrebbe essere necessario giacché il baccalà di liquido ne caccia a volontà.
Se gradite approntare pure un contorno con poca fatica, prima di infilare la teglia in forno mettete al pesce una bella corona di patate a spicchi condite con una bella spruzzata di pepe, mollica e olio (evitate il sale, perché il baccalà al riguardo provvede pure troppo): grazie alla presenza di uvetta e peperoni assumeranno un caratteristico sapore agrodolce assai inusuale, che si sposerà degnamente con la pietanza.
Portate in tavola ben bollente e se i vostri commensali gradiscono il baccalà vi assicuro che farete un figurone. Che è quello che fa sempre la zia Maria quando lo serve sotto gli occhi affamati della mia famigliola.
Se poi volete fare una cosa all'insegna della sciccheria, potete anche servirlo in singole porzioni che metterete in tante terrine di maiolica quanti sono i vostri ospiti: sarà una degna rivincita per il povero baccalà, che un tempo era considerato cibo per indigenti e che adesso è diventato cardine per i menù festivi anche dei ristoranti più lussuosi del mio Sannio.
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Mai provato in questa versione...devo assolutamente aggiornarmi!
RispondiEliminaIo come detto mi guardo in cagnesco con il merluzzo, ma chiunque lo ami dice che questo piatto è veramente buono: credo pertanto che sarà un'esperienza gastronomica interessante :)
RispondiEliminaDal canto mio, io dovrei aggiornarmi sulla ricetta del baccalà alla vicentina, adorata dal mio babbo: ma i parenti veneti, come si suol dire, non mi si filano di pezza...
Ti ho scoperta ricercando sulla frisella, in realtà sono alla ricerca della ricetta per farle dia di grano che di orzo, ho apprezzato molto la preparazione che a quanto ho capito è di una nonna tua o del tuo compagno ed era di San Giorgio Jonico. Mi è piaciuta molto anche questa e sono le sole tue ricette lette fino ad ora, mi piace molto anche l'ambientazione che dai. Proveremo queste tue ricette e con il tuo permesso, citando l'origine, le vorremmo pubblicare sul nostro blog
RispondiEliminahttp://www.cucinasuditalia.blogspot.com/
che si occupa in particolare di cucina meridionale ma non solo.
Arrileggerti
Cari Rita e Mimmo, permesso ovviamente accordato! E complimenti per il vostro bel blog, davvero appetitoso e ricco di calore, non solo quello dei fornelli :)
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