domenica 21 marzo 2010

Viva San Gesèppe

Festa grande al paesello: per due giorni si è celebrato San Giuseppe, e lo si è fatto come non lo si ricordava da anni. Credo sia anche merito dell'entusiasmo con cui i giovani hanno deciso di far rivivere la tradizione, con grande fatica e lavorando come matti per più di tre mesi: il loro impegno, che ha avuto l'appoggio fattivo del parroco del paese, ha fatto sì che l'entusiasmo si comunicasse a tutti, e nelle mie precedenti esperienze non ho mai visto tanta vivacità in giro. In breve, posso dire che è stata un'esperienza bellissima, e voglio condividerla con voi. Visto che ho un talento canino con la macchina fotografica le immagini fanno pena, ma spero possano restituirvi un po' dell'atmosfera.
La sera del 18 marzo è tradizionalmente dedicata alle litanie in onore del santo: dopo le prove, musicisti e cantori si avviano per compiere il giro degli spùleche, ovvero degli altari dedicati a San Giuseppe. I gruppi tradizionali prevedono la fisarmonica, ma ne ho visti altri armati di chitarre e persino di sassofoni: i tenìje si possono eseguire in tanti modi, quel che conta è lo spirito.
Prima tappa dopo la visita in chiesa per cantare le litanie al santo, 'u spùleche di Mariolina. I cantori dopo l'esecuzione vengono rifocillati con le pietanze tipiche della festa: nella foto qui sopra si possono vedere nel vassoio i tradizionali caveciùne, ravioli fritti di pasta leggerissima con un ripieno di ceci passati, cacao e miele. Credetemi, una vera bontà.
Agli ospiti viene servita a ritmo continuo anche 'a pezzente, una zuppa di cinque diversi legumi condita con olio d'oliva e accompagnata da pane fresco.
L'altarino dei giovani è stato allestito presso il Centro della Comunità con tutti gli elementi tradizionali: fiori di carta, decorazioni vegetali, le offerte poste ai piedi del santo.
Due elementi secolari decorano l'altare: i Giardini di Adone, vasi con grano fatto germogliare pazientemente al chiuso, e 'u lucìgne, il tradizionale lume a olio.
Grandi vassoi colmi di screppelle vengono offerti a chi visita l'altare della Comunità: nella foto i ragazzi pronti all'opera, fra cui il mio amico Nicola che ha gli occhi chiusi causa la faticata immane degli ultimi giorni. E non solo degli ultimi, a dire il vero.
Anche al Centro viene servita la pezzente, cotta nelle pignatte messe al calore del camino: il quale camino è quello che potete vedere all'inizio, costruito per l'occasione e decorato con un quadro intagliato nel legno che rappresenta San Giuseppe e il Bambinello.
Terza tappa, l'altarino di Gennaro: anche questo ricchissimo di elementi vegetali, con i Giardini di Adone al posto d'onore.
La parata di offerte davanti allo spùleche di Anita, che onora San Giuseppe da molti anni ed è una delle più titolate rappresentanti della tradizione: sul tavolo si trovano pietanze rituali come pane, frutta, pesce e composta.
Ultima tappa, 'u spuleche di Maria Rosa, detta l'acquaiole: sulla tavola altre pietanze della tradizione come l'insalata di arance e la composta di sottaceti.
Il 19 marzo la festa segue un rituale ben preciso: presso ogni altarino vengono organizzate due tavolate in onore di San Giuseppe. La prima tavola ha quali personaggi simbolici il Vecchio, la Vecchia e l'Angelo: al Centro della Comunità i ruoli sono stati impersonati da Giuseppe di sei anni, zì Michele che ne ha 94 e zì Carmelucce che ne ha compiuti 102.
Il pasto è composto rigorosamente da 13 pietanze, che vengono servite in ordine preciso: si comincia con l'insalata di arance...
... e si procede fino al piatto forte, i maccarune c'a meglìche che zì Michele, secondo la tradizione, mangia rigorosamente con le mani.
Nel mentre che la prima tavola si svolge, nelle pignatte di coccio continua a stare in caldo 'a pezzente, vicino al fuoco che si sta pian piano spegnendo.
E' arrivato il momento della seconda tavola, aperta a tutti: due grandi tavolate accolgono fino a sessanta commensali, mentre fuori altre decine attendono il loro turno per entrare.
Un'intera madia colma di mollica condita, pronta per essere sparsa sui maccheroni.
I volontari del Centro sono pronti per portare la pasta in tavola: in poco più di mezz'ora serviranno oltre 180 piatti di maccheroni con la mollica e altrettanti di pezzente, accompagnandoli con screppelle e vino in quantità.
Non ci sono solo le donne a lavorare alacremente perché tutto riesca al meglio: in un raro momento di pausa ecco Fernando Monteferrante, che con altri rappresentanti della metà del cielo maschile si è dato da fare per settimane e non disdegna certo di portare i piatti in tavola.
Anche a chi è rimasto a casa non mancheranno i cibi devozionali: maccheroni, screppelle e pagnotte vengono portati porta a porta, affinché tutti possano celebrare la ricorrenza come si confà. E prima di mangiare, ovviamente, si ringrazia il santo, motore di tutto il bendidio che c'è nel piatto, e della festa grande che anima tutto il paese.
Vive San Gesèppe. E arrivederci al prossimo anno.

10 commenti:

  1. Ma che bella questa festa! ;_;
    Lo sai che i caveciùne ce li abbiamo pure noi nel Gargano? Sono giusto un po' più piccolini di quelli della foto. E io li adoro alla follia, non smetterei mai di mangiarne, slurp!

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  2. Davvero??? Ma la ricetta è proprio la stessa? Se non lo è propongo fin da subito un equo scambio :)
    Per inciso non mi stupisce che ci siano questi elementi di contatto fra Sannio e Gargano: i nostri contadini per secoli sono andati a mietere nelle Puglie, e da sempre c'è quindi un comunicarsi continuo di tradizioni che si vede ovunque, dalla musica alla cucina al dialetto. E come tutti gli scambi, è sempre una bella cosa.

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  3. Grazie davvero e complimenti per i tuoi bellissimi post nonché per le ricette! Le foto sono venute bene, nonostante i miei occhi chiusi.
    Anche io sono un adoratore dei càveciùne e aggiungo alla ricetta il mosto cotto, un ingrediente importante in diversi piatti della festività di San Giuseppe. Sono curioso di assaggiare quelli del Gargano, ormai faccio un salto lì quasi ogni estate. Gli elementi di contatto sono davvero molteplici, oltre alla manovalanza vorrei ricordare i pellegrinaggi effettuati fino alla fine degli anni '50, quando interi paesi si spostavano a piedi e con carretti verso Monte Sant'Angelo.
    Sapevo della prossimità culturale a livello di dialetto e di musica (mi sono già stupito durante la ricerca etnomusicologica del 2005) ora spero di scoprire anche quella culinaria!

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  4. Caro Nicola, grazie a te, e grazie a tutte le persone che hanno organizzato il San Giuseppe e mi ha permesso di vivere un'esperienza bellissima. Interessante assai la variante del mosto cotto: sono persuasa che in originale si usasse quello, e che la variante del cacao sia stata introdotta dopo perché faceva più chic in quanto più lussuosa (oggigiorno, ovviamente, il cacao te lo tirano in faccia, mentre per acquistare il mosto cotto devi fare un leasing). Se putacaso ti capitasse nelle tue scorrerie garganiche di riportare qualche esemplare di caveciune locale al paesello o qui nell'Urbe, sappi che gradirei assai... :D

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  5. Concordo, è molto probabile che il cacao un tempo fosse merce più rara e che quindi il mosto cotto diventasse un ingrediente importante.
    Qualora riuscissi a trovare i càveciùne garganici senza dubbio ne porterò in paese, ma dove posso trovarli? Qui solo la tua amica che poc'anzi è intervenuta può correre in nostro soccorso.
    Io faccio un salto quasi ogni agosto a Carpino per documentarmi sulla musica popolare, ma l'anno scorso ho fatto un tour molto più vasto del Gargano. In fin dei conti, ci vuole un'ora di macchina da casa...

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  6. Passo la palla a Giulia: fanciulla, se ci sei, batti un colpo!

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  7. Eccomi! Sono in colpevole ritardo -_-

    Sfortunatamente non ho idea di dove si possano acquistare questi dolci tipici, specie in agosto: da noi sono una specialità tipicamente natalizia, insieme ai crostoli (anche detti cartellate).
    La ricetta però posso procurarmela senz'altro ;) Intanto posso confermare i ceci, il cacao, il miele; in quelli che conosco io ci sono anche noci a pezzettini nel ripieno, forse anche un po' di caffè? In polvere? Magari dico una cavolata, ma il sapore me lo ricordo così! Purtroppo è più di un lustro che non ne mangio.

    Una nota sul mosto cotto: a casa mia si è sempre chiamato "vincotto", e curiosamente, a dispetto del nome, è molto popolare la versione preparata a partire dai fichi maturi. Il mosto cotto preparato dal vino invece lo conosco come prodotto abruzzese - ché l'Abruzzo è l'origine del restante 50% del mio sangue :P

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  8. Ciao sono MARIA, ma quali sono le altre pietanze della tavolata di San Giuseppe?

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  9. Eh, ci si potrebbe scrivere un trattato, perché ogni famiglia ha la lista sua. Comunque sono sempre 13 in totale, e fra quelle che in teoria non devono mai mancare oltre a quelle citate, ci sono 'a chembòshte (la composta, una conserva di frutta e verdura sott'aceto), il baccalà, le verdure lessate, il riso, i legumi (fave, piselli, ceci, fagioli, cicerchie), i scherpèlle (pasta di pane fritta in forma di bastone), i caveciùne, la frutta. Mio padre mi raccontava che quando lui era piccolo non mancavano mai i "rànge", cioè i granchi di fiume, che si andavano a prendere al torrente Cigno vicino al paese. Adesso i granchi sono spariti, per cui li si sostituisce con lumache o con pesce di mare...

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    1. Grazie mille:-) Ero molto curiosa di conoscere meglio questa tradizione

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