lunedì 8 marzo 2010

Friselle tarantine al pomodoro

Oggi è la festa della donna. Mi par giusto quindi proporre un piatto che nella memoria familiare è legato, per l'appunto, a una donna. Mica una qualsiasi. La nonna di mia madre. Io non l'ho mai conosciuta, per ovvi motivi anagrafici. Ma basta sentir parlare mia madre, mio zio Pigi o la zia Emma per avere un'idea di che tipo fosse.
Dai loro racconti, ho saputo che si è sposata a 19 anni, età consueta per l'epoca, e che con il marito capomastro dal paesino di San Giorgio Jonico si era trasferita a Taranto, a fine Ottocento in pieno sviluppo per via del cantiere navale. Nonostante giovanissima era una sarta rifinita, con un vasto giro di clienti nella borghesia locale. Mise al mondo la bellezza di tredici figli, anche questo non inconsueto per l'epoca. Altrettanto non inconsueto il fatto che fino a tarda età dirigesse la casa e l'economia familiare in base al noto principio di "matriarcato senile" (l'espressione è dello zio Pigi) che fino al dopoguerra era caratteristica della società italiana, al sud e non solo.
Così la ricorda lo zio Pigi: "Come la grande maggioranza delle persone della sua età, nonna Grazia si era fermata alla sesta elementare (a quei tempi la scuola elementare aveva 6 classi), ma le sue riflessioni, un concentrato di esperienze di vita vissuta, saggezza popolare e forti convinzioni personali, hanno avuto su me molta più influenza di tanti discorsi e commenti pieni di dotte citazioni che ho sentito nel corso della mia vita. Poi c’erano anche le battute scherzose. «Nonna, che ora è?», «Piccino mio, devi prenderti la pillola?»,«Nonna, i ceci sono duri», «Mangia, sono più morbidi dei denti». Quando, come fanno molto spesso i ragazzini, usavamo un utensile in modo improprio, una forchetta al posto di un coltello o roba del genere, c’era il commento ironico: «Come si miete? Con la forbice!»..."
I ricordi di mia madre sono legati invece non tanto a frasi o espressioni, piuttosto a odori. In primis, quello del pane.
Il pane veniva fatto una volta ogni due settimane, visto che in casa non c'era modo di cuocerlo e bisognava quindi portarlo al forno pubblico. Ma con l'occasione non si faceva solo il pane: la nonna preparava anche la puccia, un panino morbido che veniva realizzato con i resti della pasta lievitata e veniva cotto alla vampa, cioè vicino alla bocca del forno. E soprattutto faceva le friselle, cotte una prima volta, poi tagliate a metà e messe a biscottare al calore del fuoco di legna.
Le friselle sono immancabili su qualunque tavola pugliese, e solo in Puglia o presso negozi specializzati c'è occasione di trovarle fatte come si confà. La vera frisella deve essere di grano duro, con la tipica forma a cazzotto e la tostaggine di un sasso: quelle del supermercato, che basta sentano un filo d'acqua per spappolarsi nel piatto, sono una pallida imitazione, uno spregio all'origine della frisella come sostituto del pane buono per conservarsi vari mesi senza il rischio che si ammuffisca.
Come è successo per molti cibi popolari nati per i poveracci che, in questo caso specifico, non si potevano permettere di avere pane fresco tutti i giorni, anche le friselle adesso sono assurte a simbolo della tipicità del territorio e vengono proposte come antipasto anche nei ristoranti più chic. Le ho viste condite nei modi più diversi: ma il migliore è ovviamente quello classico, un po' di pomodoro fresco e di odori. Se quindi avete modo di procurarvi delle friselle fatte come si comanda, con pochi minuti di lavoro vi potrete approntare un piatto con i fiocchi. Il quale piatto vi darà anche un primo sentore di bella stagione, che con il tempaccio gelido di questi giorni non è male.
I lettori nati sopra il Tacco mi chiederanno forse come si fa a riconoscere una frisella fatta come si comanda.
Basta seguire alcune semplici regole.
In primis, date un'occhiata agli ingredienti. Il grano deve essere duro: se non è così, lasciate perdere. Secondo, oltre alla farina ci devono essere solo acqua e sale: qualunque altro additivo non è gradito. Quindi affidatevi ai vostri occhi: la frisella deve essere spessa almeno due dita, di un bel colore bruno tendente al dorato, e sulla superficie non deve presentare porosità. In sostanza, deve avere la faccia da contadina centenaria cotta da una vita di lavoro sotto il sole delle campagne tarantine.
Se ha tutte queste caratteristiche, procedete come segue. Anzi, se siete donne, fate procedere come segue a qualcun altro appartenente all'opposta metà del cielo. Non protestasse: ne è perfettamente in grado.

Ingredienti:
due friselle fatte come si comanda
cinque pomodori ben maturi
olio a piacere
origano idem
qualche foglia di basilico
uno spicchietto d'aglio se gradito

Preparazione:
tagliare i pomodori a piccoli pezzi senza eliminarne il sugo, metterli in una ciotola e condirli con olio, sale, il basilico spezzettato e, se piace, l'aglio privato del germoglio e tritato. Lasciar riposare per una mezz'ora almeno.
Prendere quindi le friselle, passarle per un attimo (ribadisco, un attimo) sotto l'acqua corrente e lasciar riposare anche loro per una mezz'ora con la parte piatta rivolta verso l'alto.
Sistemarle quindi sul piatto di portata, e in primis bagnarle con l'abbondante sughetto che i pomodori avranno cacciato durante la marinatura. Coprirle quindi con i succitati pomodori, spolverare con abbondante origano. Aspettare un'altra decina di minuti, necessari a far sì che le friselle si insaporiscano per bene, e portare in tavola.
Tempo di lavoro effettivo, cinque minuti scarsi. Il che è alla portata anche del masculo più pigro e retrivo. E non solo l'8 marzo.
Per inciso, vi sono anche altre cose, casalinghe e non, alla portata anche del masculo più pigro. Vedete di ricordarlo all'eventuale masculo che alberga insieme a voi. Non mi par giusto che io sia l'unica fortunata ad avere un compagno che, oltre ad aiutare in cucina, il che può essere cosa divertente, dà una mano con le pulizie, cosa che è molto meno divertente.
Sono sicura che la nonna Grazia, che ebbe una vita intera il peso di tutta una casa e di svariata prole sulle spalle, avrebbe gradito. Magari sarebbe riuscita a prendersi un po' di tempo per sé, cosa che dubito sia mai riuscita a fare.
Ma voi, una volta sbrigate lestamente le faccende relative a cena e messa in ordine di cucina e altri caserecci luoghi (sapete, se si lavora in due ci si mette la metà del tempo), avrete sicuramente bell'agio di prendervi un po' di tempo per ambedue: ad esempio, per andare a vedere insieme un bel film.
Magari quello con cui, per la prima volta in 82 anni, una donna ha vinto il premio più celebre del settore. Cosa che, vista anche la data di oggi, è stata messa in risalto in pompa magna su tutti gli organi di stampa.
Il che fa piacere, per carità.
Però se becco il genio del Corriere della Serva che ha scelto di intitolare la notizia "Lady Oscar", giuro che, maschio o femmina che sia, gli sbatto in testa un ramo di mimosa fino ad esaurimento. Del ramo.

2 commenti:

  1. Posso sommessamente non concordare sul fatto che l'eventuale masculo "dia una mano" con le pulizie di casa? E' una questione non solo dialettica secondo me: a parer mio l'eventuale masculo farebbe solo la sua parte. Posso concordare con "l'aiuto" in cucina per quel che concerne la preparazione del cibo visto che è necessaria una minima capacità che non tutti hanno, ma per lavare piatti, pavimenti, spolverare e rifare letti non servono grandissime capacità, solo un pizzico di buona volontà ed il riconoscimento che abitare una casa comporta diritti e doveri per tutti i componenti.

    MuniContestataria

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  2. Giusta osservazione, sorella: mi spargo il capo di cenere. Non si tratta di dare una mano, ma di prendersi il 50% di responsabilità riguardo l'andamento del menage familiare: il che riguarda la cucina, il bagno, la camera da letto, e tutto il resto. Il fatto che io abbia usato l'espressione "dare una mano" indica quanto io stessa sia vittima dei pregiudizi correnti, e non mi aspetti più che tanto dai maschi. Il che è sbagliato. Dico, mica vorremmo pensare a prescindere che siano incapaci, duri di comprendonio, lavativi, egoisti e quant'altro, no? :)
    Da parte mia, posso osservare che apprendere qualunque cosa, che sia cucinare, passare la ramazza o imparare una nuova lingua, non richiede particolari capacità (anche se una predisposizione personale può aiutare, ma ciò en passant): è sufficiente una buona dose di esercizio. Invito pertanto chi condivide il mio gender ed è accompagnata a togliere di mano al signor marito o fidanzato il giornale di turno, munirlo di scopa e paletta e incitarlo con un'affettuosa pacca sulla spalla: la prima volta farà una disastro, la seconda pure, ma a lungo andare vedrete che migliorerà di gran lunga sia il menage familiare, sia il vostro umore.

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