sabato 13 giugno 2009

Fiori d'acciaio

Non fatevi ingannare dal titolo: non voglio parlare di quel temibile film di Penny Marshall con l'altrettanto temibile Julia Roberts. Del resto, penso basti l'immagine a fugare ogni dubbio.
Non sono una grande appassionata di manga: ne so ben poco, e se si esula da mostri sacri come Tezuka Osamu vagolo nel buio. Rinnovo la conoscenza solo tramite la collezione che il mio compagno di casa e di vita tiene nel paesello delle ginestre. Quello che fra tutti mi ha colpito di più è considerato un'opera minore. Ho sempre avuto una passione per le opere minori.
Mi è bastata qualche pagina per notare che aveva qualcosa di singolare. Non riuscivo a definire cosa. Per cui, volumetto in mano, sono andata a consultare l'esperto, che era qualche metro più in là, a sua volta immerso nella lettura.
"Mi aiuti a capire una cosa, visto che sei l'onnisciente miniera di tutto ciò che riguarda il Giappone?"
"Tesoro ti ringrazio, ma non sono l'onnisciente miniera riguardo il Giappone, e manco di altro sennò qualcuno mi avrebbe scavato."
"Lascia perdere la modestia. Che razza di manga è questo qui?"
"Uh, Kurogane di Kei Toume. Bello. Bellissimi disegni."
"Me ne sono accorta che è bello. Solo che c'è qualcosa che non mi quadra. La storia è ambientata nel solito Giappone dei samurai, il protagonista è il solito ronin. C'è un pizzico di Frankenstein e persino di Pinocchio, eppure non è questo che mi colpisce. E' qualcosa d'altro, ma non riesco a identificarlo. Ma chi accidente è questo Kei Toume?"
"Questa. Kei Toume è una donna."
Ah.
Me ne sono andata a testa bassa. Perché mi sono resa conto per l'ennesima volta che il contesto culturale in cui si cresce non te lo scrolli di dosso manco a morire. E il contesto culturale ha fatto sì che, leggendo un manga incentrato su un ronin, io pensassi automaticamente che l'autore fosse un uomo.
Non è una scusante che le donne che hanno trattato e trattano di argomenti quali guerra, violenza e simili siano relegate al rango di curiosità.
Ida Lupino, che ha girato alcuni dei migliori film d'azione degli anni Cinquanta, è una nota a margine nella storia del cinema e viene ricordata soprattutto come attrice. Mi ricordo ancora il clamore che in anni più recenti causò con Point Break Kathryn Bigelow, liquidata poi quale burattino dell'allora compagno James Cameron.
Potrei citare altri casi più o meno noti, ma non è questo che mi interessa nello specifico. Ciò che mi colpisce è questo: nel contesto culturale e sociale in cui sono cresciuta e vivo le donne vengono considerate buone giusto a trattare argomenti da tinello e ciò mi inferocisce, ma io stessa mi stupisco quando incappo in qualcuna che non tratta argomenti da tinello.
E la ringrazio.
Perché è grazie a donne così che poi abbiamo opere come Kurogane.
La storia è molto semplice. Come detto, l'ambientazione è il Giappone dei samurai, il protagonista è un ronin. E' un ragazzino sui sedici anni. Nelle prime pagine si compie il suo destino: è in fuga da un gruppo di sicari, riesce a sconfiggerli, ma viene ucciso da un branco di cani.
O così sembra.
Perché si risveglia, ma non è più lo stesso. Un ronin d'accatto con la passione per i marchingegni lo ha salvato. Per farlo, ha dovuto renderlo quasi del tutto meccanico. Il suo viso è una maschera di metallo. Di metallo e legno è il resto del corpo, a parte il braccio destro e un occhio. E' muto, perché non ha più corde vocali. Una spada meccanica, Haganemaru, gli fornirà la voce e darà espressione ai suoi pensieri. Hitokiri Jintetsu è diventato Jintetsu d'Acciaio.
La storia continua con stilemi classici. Jintetsu si muove nel mondo dei giocatori d'azzardo, come dice il titolo: kurogane significa "metallo nero" e allude al corpo artificiale del protagonista e al suo ruolo di assassino per denaro, ma indica anche i guardiani armati che sorvegliavano le bische. Sono però i dettagli a fare la differenza, e le vicende in apparenza così piccole che costituiscono la narrazione. Non ci sono battaglie, intrighi, colpi di scena: ci sono persone.
La fidanzata di Jintetsu, che attende da anni il suo ritorno al villaggio, lo riconosce nonostante la maschera di ferro: l'intaglio con cui un misterioso straniero ha decorato un secchio è lo stesso di un fermaglio donatole da Jintetsu prima di fuggire. Si incontrano, e non è una scena madre: tutto si risolve in pochi disegni. Lui non spiega, lei non implora. Proprio per questo, il loro dolore suona vero.
Nel cammino il protagonista incontra una fuggiasca. Sembra una bambina, è vestita da bambina, si comporta da bambina. A Jintetsu rivela di avere ventiquattro anni, e di aver ucciso il ricco notabile che l'aveva comperata da piccola e tenuta chiusa in casa, in uno stato di infanzia artificiale. Sulle sue tracce c'è un gruppo di guardie del riccone: il capo è un giovane innamorato di lei. Jintetsu riesce a salvare se stesso e la ragazza, la lascia in un villaggio, e lei dichiara che se la caverà, felice perché per la prima volta in vita sua ha deciso da sola. Leggendo questo capitolo di Kurogane ho pensato che forse un uomo avrebbe risolto in un altro modo: il capo delle guardie la ama, potrebbe risparmiarla e farne la sua compagna. Oppure potrebbe ucciderla per fedeltà nei confronti del signore, e vivere nel ricordo di lei per sempre. In un caso o nell'altro, la ragazza finirebbe relegata sullo sfondo, come spesso accade. Kei Toume non lo fa accadere.
Per me, queste sono cose che fanno la differenza. Non sono le sole in questo manga. E tutte fanno sì che ci sia quel qualcosa d'altro.
Quel qualcosa d'altro e tutto ciò che vi gravita intorno (in sintesi, l'attenzione per gli individui a scapito dei colpi di scena) è stata la probabile causa del non grandissimo successo di Kurogane. Ulteriore causa è il fatto che Kei Toume ha deciso di sospenderlo. E' comprensibile: come si fa a pensare uno sviluppo e un finale per qualcosa che non ha trama?
La mancata conclusione è il motivo per il quale il mio compagno possiede solo una parte dei volumi editi. Quel paio di albi si è comunque trasferito dalla libreria del paesello al mio comodino: neanche io ho voglia di leggere l'ultimo volume che non è l'ultimo, ma continuo a prendere in mano quelli che oramai conosco a memoria.
Ogni volta mi colpisce la semplicità lineare dei disegni, le storie piccole che non sono piccole, la finezza e la forza.
E ogni volta mi colpisce il protagonista con il suo corpo meccanico cui dà voce una spada ciarliera, il suo vagare senza fine e senza fini, il suo sentirsi sradicato in ogni luogo perché, perso il villaggio dove è nato, nessun luogo si può definire davvero casa.
Quest'ultima cosa non mi è del tutto nuova.
Buon weekend.

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