Questa è una veduta dello mio paese dipinta più o meno al tempo dell'Unità d'Italia, e che si può vedere al museo Capodimonte di Napoli. La via principale con la gente che chiacchiera, un contadino che porta i suoi sacchi, un altro che si riposa sul muretto, un cane sdraiato ai suoi piedi. Una scena comune in qualunque paese a quel tempo e non solo. Scene come questa, gli abitanti, la vita nelle campagne sono state l'ispirazione del più famoso poeta dialettale del mio paese: Giovanni Cerri, ovvero don Giuanne.
Gli esperti lo considerano uno dei maggiori esponenti della poesia dialettale della mia regione. Ma per me, non è importante il giudizio degli esperti. Ciò che so è che ha scelto di dare dignità di lingua letteraria a quello che è considerato un dialetto. E che nelle sue poesie lo ha fissato prima che si perdesse, cosa che sta accadendo molto in fretta. Per cui, rileggerle è un modo per riannodare fili che si sono spezzati. Oppure per ricostruire un luogo che quando sono nata già si era perso, e per il quale, forse proprio perché non l'ho conosciuto, la nostalgia è feroce.
Di don Giuanne i più anziani serbano ancora memoria diretta: prima che poeta, era infatti maestro elementare. Molti si ricordano ancora la sensazione delle sue nocche sulla nuca quando commettevano un errore durante la lezione, e mia zia Margherita dice sempre che a vederlo, sempre così severo, te faceve torce 'u male (espressione difficilmente traducibile e che significa più o meno "ti faceva prendere uno spavento terribile", ma l'originale rende assai meglio l'idea). La severità, come spesso succede, nascondeva una grande sensibilità. Nelle sue poesie si sente, anche se trattenuta: nel descrivere la fatica dei contadini (fatìa e guaie ni struie maie, fatica e guai non li distruggi mai, recita un verso), la loro vita fatta di lavoro, di sedòre c'a grascia e vino c'a cogna, sudore in abbondanza e vino quanto ne entra in un guscio di noce. E gli animali piccoli e grandi, compagni dell'uomo nel suo percorso fino alla fine, e la voce che esce du core di chiante, dal cuore delle piante.
Per me, leggerlo è ritrovare lo heimat di mio padre e dei miei nonni. Qualcosa che conosco grazie ai racconti delle mie zie, di qualche anziano, di mio padre stesso quando è in vena di amarcord. Ma nulla lo porta davanti ai miei occhi come le parole di don Giuanne.
Ed è a lui che lascio la parola. Ho scelto una poesia che ha per protagoniste le lucciole. Il loro nome nella mia lingua è molto più bello: luce-na-cappelle, ovvero "luci nelle cappelle". E' la mia prediletta: ho provato a farne una traduzione a uso di chi non è sannita, ma se potete provate a leggerla in lingua originale. Oppure, meglio ancora, ad ascoltarla: a leggerla è mio padre, uno dei pochi che ancora conosca il dialetto del mio paese come lingua viva.
Luce-na-cappèlle
Sonn'asciùte cu frìsche
i luce-na-cappèlle
masséra.
E' tiémpe de trische
e 'ncopp'allàrie
ntramiénte l'anteniére
ammen'a uadàgne,
i fémmene ze dìcene u resàrie.
I luce-na-cappèlle
sònne i figlie di stélle
e vanne 'n campàgne
pe tòlle a-ddora du hiene
che è a-ddora de Die
pecché sa de fatìa.
Può ze ne vanne tutte a culecà
dent'a ciénte cappelle
de tante pàiesiélle
e z'addòrmene
dent'i chiéche da gónne
da Madonne
e fanne lume
pennante a tutt'i Sante.
(Sono uscite col fresco/le lucciole/stasera./E' tempo di trebbia/e mentre l'anteniere/solleva i covoni/le donne dicono il rosario./Le lucciole/sono figlie delle stelle/e vanno in campagna/a prendere l'odore del fieno/che è odore di Dio/perché sa di fatica./Poi si vanno tutte a coricare/dentro cento cappelle/di tanti paeselli/e si addormentano/nelle pieghe della gonna/della Madonna/e fanno luce davanti a tutti i Santi.)
Don Giuanne se ne è andato nel 1970, quando ancora non ero nata.
Gli hanno intitolato la scuola elementare del mio paese.
Visto che nulla e nessuno muore per sempre, sono certa che lo sa. E che per lui sia l'omaggio più bello.
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ciao,,,jessie, in breve vorrei dire che la sua iniziativa di pubblicare un qualcosa in dialetto del nostro paese natio e' formidabile ,vero che il dialetto dei nostri nonni e genitori e' quasi scomparso ,e con cio' puo' immagginare che ascoltando suo padre nel recitare la poesia del sig,cerri ha fatto in modo che per un breve momento mi sono ritrovato '' balape a ruv ''...complimenti e grazie
RispondiEliminaGrazie mille... Sono davvero felice che la lettura del mio papà ti abbia fatto risentire al paese. Mio padre è un uomo molto riservato, e convincerlo a farsi registrare mentre leggeva è stata una vera impresa. Ma sono contenta di averlo fatto, e ti ringrazio ancora dei complimenti. L'ho detto al mio papà, e anche lui è felice di aver fatto qualcosa di bello non solo per sé e per le persone care, ma anche per tante persone che amano la poesia di don Giovanni. Benedetta Internet!
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